Dentro la tasca…

Aspettare davanti ad una tastiera che il pensiero prenda forma e si concretizzi a partire dalle esperienze vissute, condivise con gli amici. Sembra quasi un tormento l’amicizia, forse è come essere in una tormenta… poi alla fine della tormenta di neve si mette a piovere… ed alla fine spunta il sole e nell’aria carica di umidità si forma un arcobaleno… essere come un arcobaleno per poterne fare di tutti i colori!
È quasi un ciclo in cui spesso ci si ritrova, per caso, per volontà propria, per quella altrui. Un ciclo. Possiamo sempre interromperlo questo ciclo. Chiuderne uno per aprirne un altro.
Altrimenti cominciamo a correre il rischio di predicare bene e razzolare male… rischiamo di ruzzolare rovinosamente!
Allora apriamolo quest’altro ciclo, apriamolo andando incontro all’Altro!
Apriamolo non prima di aver chiuso con certi aspetti di noi stessi, non prima di averli chiusi integrandoli con la nostra vita, nella nostra vita. E questo è possibile.
È possibile così come possiamo mettere una mano nella tasca della nostra giacca, aprire la cerniera e pescare li dentro quanto nelle ultime tre settimane vi abbiamo riposto… delle lettere che non giungeranno al destinatario, un cuore di carta, un bracciale dell’obiettivo.
Delle lettere non parlerò, vorrei che ancora una volta fossero le parole scritte in giorni passati a poter parlare: ma è un cane che si morde la coda, le lettere non parleranno fintanto che nessuno le leggerà. Se chiudessi le lettere e le spedissi? O se chiudessi le lettere e le lasciassi chiuse in un cassetto? O se prendessi le lettere e le mettessi via per sempre? Questo diventa il primo aspetto che non chiudo, rimane sospeso… vediamo gli altri due…
Un cuore di carta: dalla contemplazione alla gratitudine. È questo il pensiero che mi lega all’esperienza dei giorni con il gruppo di Mater Ecclesiae. Aver imparato ad essere grato di ogni cosa al Sommo Creatore, ogni cosa! Essere grato dei momenti di vita che ci vengono donati, che viviamo con l’intensità tipica del nostro carattere. Non importa se è un bel periodo, se è un brutto periodo, se è un periodo così così… l’importante è esserci, con la mente e soprattutto con il cuore! Diventare grati per le nuove persone che si sono incontrate, per il loro sguardo “giovane” tutto proteso ad un futuro che è ancora da venire, mostrare loro i segni di grazia che il Signore ha lasciato in noi questi anni… è questo che dobbiamo fare, per essere testimoni dello Spirito in cui siamo immersi, dello Spirito che respiriamo! E tutte le tazze di latte caldo con il miele per tenere su la voce saranno servite a qualcosa! Sarò pur servito a qualcosa, saremo pur serviti a qualcosa noi ragazzi più grandi! Degli strumenti nelle mani di Dio, si, ne sono sicuro, siamo stati proprio questo! Degli strumenti docili, attenti nella preghiera, quasi con amorevoli cure paterne e materne da riservare ai fratelli più piccoli in cammino… e tra serietà, risa e il fare comunione insieme, spunta un grazioso cuore, ritagliato da un cartoncino bianco… grazie di cuore a tutti, veramente un grazie di cuore che non è solo di carta… e se Valeria si aspetta un ringraziamento particolare, data la mia particolare “asocialità”, beh, se lo può proprio scordare! Ringrazio tutti indistintamente perché forse non vorrei ringraziare nessuno!
Il bracciale dell’obiettivo mi ricorda invece i filatteri le piccole teche di cuoio a forma cubica che contenevano dei rotolini di pergamena con passi biblici e che si legavano al braccio sinistro e sulla fronte mediante legacci. La loro origine era in realtà simbolica e suggestiva, come si dice nei passi scritti sui rotolini: "Questi precetti che oggi ti do ti restino incisi nel cuore, te li legherai come segno sopra la tua mano e come ricordo tra i tuoi occhi". Era questa la rappresentazione viva della fede nella parola di Dio che è alimento e guida della coscienza (il cuore), dell’azione (la mano) e della mente (la fronte).
Belle parole quelle contenute nei filatteri… l’importante però era metterle in pratica, discostandosi così nettamente dal rituale… passare dalla contemplazione all’azione. Era ed è ancora oggi l’importante!
Se lo Spirito della gratitudine e della riconoscenza non diventa altro nella nostra vita, restiamo così, semplicemente a guardare e non riusciamo ad entrare nel mistero che ci avvolge. Azione.
Possiamo avere uno, due, tre o più bracciali dell’obiettivo, renderanno solo il nostro braccio più pesante se non incidiamo davvero nel profondo del cuore verso chi stiamo andando, il nostro Obiettivo.
Poi esci la mano dalla tasca, chiudi la cerniera e continui a camminare per la tua strada, sai cosa hai nella tasca, sia verso dove stai andando, verso quale casa stai muovendo i tuoi passi. La casa del Padre. È Lui che ti aspetta da sempre. Tu nel frattempo ti fermi, come se avessi tempo da perdere, anziché aumentare il passo, lo rallenti. Aspetti. Cosa?
Aspetti che altri ti raggiungano, non vuoi che rimangano dietro di te, vuoi che anche gli altri possano gustare la presenza di Dio nella propria vita, vuoi che anche gli altri, possano camminare con te. Ma forse ognuno ha i suoi tempi, ognuno ha una valigia, una borsa, uno zaino, che porta con se. Ed è pesante.
Ed anche se tu vuoi dar loro una mano, resta pur sempre la loro, il loro bagaglio personale. Chi di noi sa realmente di ciò di cui abbiamo bisogno? Chi di noi va veramente incontro all’essenzialità delle cose?
Chi di noi comprende tutto ciò, di costui o di costei possiamo dire che è già a metà strada e siamo noi quelli che devono aumentare il proprio passo per raggiungerli!
Abbiamo persone che abitualmente camminano con noi, altre che prima sono vicine poi si allontanano, si eclissano… Di queste alcune sono tornate, più fratelli e più sorelle di prima, come quelle sorelle con problemi ai loro pc portatili… Ti accorgi che sono belle, delle belle persone, e che adombrati dai pregi i loro piccoli difetti (che amplifichiamo fino a farli diventare grandi, più grandi dei nostri) sono il più bel dono che possono avere, i doni che fanno esercitare la tua pazienza… e di questa ce ne vuole tanta. Ti accorgi della bellezza che va oltre l’aspetto fisico, quella sintonia, armonia di intenti che solo Chi sta in alto può averci donato… è bello meditare così sulla Sapienza di Dio: “se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata”.
Abbiamo persone che hanno vissuto con noi dei mesi, dei giorni, poi non le abbiamo più viste ne sentite, magari dopo, a volte, ci hanno pure ignorato: forse siamo stati noi ad essere troppo “morbosi”, quasi a voler monopolizzare la loro vita nella nostra e così ci hanno lasciato, l’unica cosa da fare che restava loro era quella di andare via da noi. E se oggi siamo cambiati? Ritorneranno, in attesa fiduciosa sappiamo che ritorneranno, così come altre prima di loro sono tornate, torneranno anche loro. Fiducia paziente. Nella gratitudine e nella contemplazione.
 
In una delle lettere Maria von Wedemeyer scriveva a Dietrich Bonhoeffer: "Cosa posso scriverti? C’è solo quest’unica cosa da dire: ti voglio molto bene e ti appartengo completamente con tutto il mio fare, pensare e sentire. Soffro per questo tempo perché per te è così pesante e perché tu soffri, ma mi consolo poiché ho una grande e imperturbabile fiducia in te, ce l’ho da quando ti vidi per la prima volta e da allora non ha fatto che crescere"…
Sembrano quasi le parole che Dio scriva all’uomo di ogni tempo, da sempre…
 
Dopo questo non ho più niente da scrivere…

Qubert…

1982, avevo solo 6 anni, ricordo come fosse appena ieri uno strano gioco che andava di moda proprio in quei tempi. Che gioco!
se non ve lo ricordate, evidentemente, avete molto meno di trentanni, e per voi gli anni 80 sono soltatno parte di una canzone di Raf.
Quel simpatico nasone che saltava da una faccia ad un’altra di cubi disposti su una piramide. Non lo ricordate? Allora avete meno di trentanni, molto meno…
Ricordo Q-bert e lo associo con una riflessione, quella della contemplazione. Come mai?
Ecco di seguito spiegato…
La nostra vista per quanto stereoscopica possa essere è "purtroppo" limitata… Ad esempio, se prendiamo un cubo tra le mani (ecco perché Q-bert…) e lo guardiamo frontalmente, dei quadrati che lo compongono, dei sei quadrati, ne vediamo solo uno. Se lo facciamo ruotare attorno ad un asse verticale, ecco, che poco alla volta vedremo anche una seconda faccia, uno a due, non di più… e se cambiassimo asse di rotazione? "Fortuna" vuole che le facce diventino tre. Mai più di tre. Tre rimarranno sempre nell’ombra, per lo meno nascoste alla nostra visione.
Questo segna il limite al nostro vedere, al nostro entrare dentro le cose, ci fermiamo alla loro esteriorità, non andiamo oltre la fisicità, quello che vediamo, quello che possiamo vedere. Il resto? Nascosto.
La nostra visione stereoscopica da’ solo la profondità… o no? Non aggiunge altro. Tre facce su sei. È un bel risultato, il migliore che possiamo ottenere.
Questo è vedere.
Contemplare è vedere anche le altre tre facce. Conteplare è andare oltre quelle tre dimensioni, aggiungerne altre tre, quelle che non vediamo. La realtà, uno spazio a tre dimensioni è sempre la stessa, ne aggiiungiamo altre tre… diventa uno spazio a sei dimensioni? E il tempo? lo aggiungiamo come una variabile?
Non possiamo da soli perderci in discorso che sanno di geometria o fisica ad n-dimensioni, per vedere le altri parti del cubo abbiamo bisogno di altri occhi… altro che visione stereoscopica. Abbiamo bisogno di occhi non nostri ma di Altro. Abbiamo bisogno dei Suoi occhi per vedere dentro l’altro. Contemplare l’altro. Restare in silenzio davanti l’altro, guardandolo con gli occhi d’Altro. Con la pzienza propria del tempo dell’Altro. Restare davanti all’altro con il suo silenzio. Non guardare il suo silenzio, ma contemplarlo… attimo dopo attimo, in un tempo che sa sempre più di eterno. Di Eterno.
Ascoltare il suo silenzio, questo lo faremo dopo…
 

Misericordiae Domini

Per quella volta che sono stato seme
che non è diventato spiga
 
Per quella volta che sono stato luce
che non ha fatto germogliare il seme
 
Per quella volta che sono stato frumento
che non è diventato farina
 
Per quella volta che sono stato lievito
che non ha moltiplicato il pane
 
Per quella volta che sono stato sale
che non ha dato sapore.
 
Per questo chiedo Misericordia,
la Tua!

Prima parte.

Per quanto insistessi, domande su domande, la risposta che ottenevo era sempre la stessa.. “non lo conosco, non so chi sia, non l’ho mai visto…”. Data la risposta così eloquente non potevo fare a meno di chiedermi se il tizio che era seduto li, di fronte a me, fosse messo al corrente di quello che avrebbe dovuto sapere e che forse non sapeva. Forse.
Mi chiedevo, mentre lo osservavo, se un uomo occupante una posizione come la sua, come mai non sapesse determinati argomenti della sua società, in particolare i rapporti con il Signor Tal dei Tali.
Era possibile questo?
Era possibile che per ogni domanda che gli veniva rivolta, da me o dal mio assistente, la risposta fosse sempre quella? Quella stretta sequenza di “non…”, sempre uguale…
Procedevamo sempre allo stesso modo io e il Signor F, io facevo quello buono, lui il cattivo… prima parlavo io, cercavo di catturare la benevolenza del malcapitato, mettendolo a suo agio, dando tempo al tempo. F, invece, stava li per i fatti suoi. Osservava. Non apriva bocca fin quando non gli facevo un gesto; d’altra parte era un bene che non aprisse bocca, il suo linguaggio stentato lo faceva apparire quasi come un troglodita, ma posso assicurare che la sua bontà d’animo era superiore allo sviluppo medio di ogni altro essere umano. E guardare F silenzioso, metteva paura. Ed era un bene che fosse sempre con me nella stanza quadrata.
Chi capitava con noi due non aveva scampo… o con le buone o con le cattive, prima o poi parlava.
Io odiavo il poi, preferivo il prima: si aveva modo di tornare presto a casa, tempo in più per sbrigare mille altre faccende, domestiche e non. I Capi erano d’accordo: eravamo pagati solo per un “colloquio” al giorno, 8 ore al giorno, niente sconti sull’orario, gli straordinari erano visti come mancanza di efficienza, quasi inettitudine, quasi che gli 8 anni vissuti alla scuola di formazione, per poi uscirne come primi allievi, fossero del tutto “persi”. Bastava ritrovarli però guardando F, lui non era tra i primi degli allievi, eppure occupava un posto ambito da molti, ma lo occupava da prima della Riforma Settembrina.
Il Signor Tal dei Tali stava ancora li, fermo, seduto comodamente su una sedia di emergenza, un vecchio tronco recuperato dall’ufficio accanto. La sedia precedente era messa in un angolo, rotta, spezzata in due, non era bella da vedere, non credo facesse un bell’effetto su chi la vedesse, di certo non aiutava a raccogliere interiormente. Dava un piccolo senso di paura, terrore. Potevano pensare che fosse toccato a qualcuno averla rotta sulla testa. Ma era stato solo un incidente, soltanto un incidente. La tenevamo li… rientrava nel piano che io ed F avevamo elaborato per far parlare i nostri “amici” che non volevano parlare. E alla fine parlavano. Tutti.
Fermo, seduto, grondava sudore. La sua fronte spaziosa sembrava un piccolo lago. O forse uno stagno.

Tenere nel cuore gli amici cari, quelli che non ti capiscono… quelli “lontani” nel cuore di Dio!

Cara Daniela, eccoti una risposta "estesa" alla tua, stranamente acuta osservazione…
 
Partiamo da un dato di fatto, assiomatico: il mio cuore riposa in Dio…
Se poi mi sveglio alle 4 del mattino, vuol dire che lassù o si alzano presto o forse il Capo non riposa mai…
 
Nel cuore di ogni uomo trovano spazio i più disparati pensieri, le più dolci e fragili richieste, le più sincere domande inespresse.
Trovano spazio ricordi, suoni, immagini… trovano spazio persone care, amici, davanti o vivendo poi alla luce dell’Amore più grande trovano posto anche i nemici!
Ma se da una parte guardiamo ancora con sospetto chi ci “vuol male”, (maledetta “natura umana”!), dall’altra non trascuriamo di curare rapporti con persone che definiamo, successivamente, amiche, compagne di viaggio, con o senza scarpe, viaggiano con noi, viaggiamo insieme.
Poi facendo luce con una torcia di quelle ricaricabili, ecologiche, a manovella, spostando incrostazioni, ragnatele, facciamo caso alla sistemazione dei nostri cari all’interno delle cavità cardiache…
Esiste una linea che separa gli amici buoni da quelli “cattivi”… esiste, si trova in una parte del nostro cuore. In una parte teniamo serbati gli amici comuni, quelli di ogni giorno, quelli che sappiamo essere nel nostro cuore un po’ per caso, un po’ per necessità, un po’ per tradizione, un po’ perché da sempre li riteniamo amici. Nell’altra parte trovano posto coloro che riteniamo essere amici lontani, non mi dilungo sui motivi della loro lontananza, posso solo dire che sono lontani per colpe nostre o loro, necessità mutuate, stati d’animo inespressi o non compresi… vuoi o non vuoi alla fine ci si ritrova lontani.
Tutti gli amici abitano nel nostro cuore comunque, in luoghi separati… perché? Perché vivere così, mi ha chiesto qualcuno oggi… perché tenerli separati? Non stanno con Dio? come se fosse importante sapere in quale parte abitasse.
Ebbene si, tutti stanno con Dio, perché il mio cuore riposa in Dio!
Allora perché questa distinzione? Perché di alcuni sono certo del loro riposare nel cuore di Dio, di altri chiedo incessantemente, nella preghiera, di dar loro una coscienza del loro dimorare tra le mura del Padre. O forse di maturarla noi questa coscienza: uniti, insieme, mano nella mano, tra quelle pareti, siamo certi di camminare già con loro, nella loro lontananza si avverte di nuovo il nostro essere vicini, ritrovati. Essere degli amici ritrovati. Come in un libro, incontrarsi nuovamente, con storie di aquiloni, brevi racconti o poesie, essersi rincontrati, volutamente, mai per caso.
Amici lungo strade comuni, polverose, battute dal sole e dal vento. Amici. Vicini o lontani sentire di appartenersi perché a Lui apparteniamo. Camminare muovendo piccoli passi.
Piccoli passi che non fanno rumore, per non avere paura di svegliare qualcuno nel cuore della notte, cuore non nostro, non costruito da mani d’uomo…

Piedi piedi

Osservavo stamattina il paio di scarpe bianche del mio amico Salvatore, bianche, di pelle bianca.
Gliele avevo già viste ai piedi, qualche settimana fa, le avevo trovate insolitamente bianche, nuove, “immacolate”, senza segni di usura, la pelle liscia, senza crepe.

Delle belle scarpe bianche nuove. Ognuno ha delle scarpe nuove, chi bianche, chi nere, chi rosse fiammanti… adatte per correre, giocare, di certo non sono quelle per il bowling… ma sono sempre scarpe, le nostre.
Quelle di Salvo le ho notate invece stamattina  un po’ sporche, logore, con la pelle più screpolata, annerita, forse in certi punti abrasa. I segni del tempo. È passato anche sulle scarpe il tempo, ha lasciato i suoi segni, ha usurato, ha accelerato il tempo di invecchiamento di quell’accessorio comune.
Il tempo, i passi, i giorni piovosi e quelli caldi, qualche piede pestato qua e la, tutto questo ha contribuito a deteriorare prima del tempo. Chissà come riesce… chissà se si può fare qualcosa per fermare il tempo avanzare. Per una scarpa certamente si, esistono creme, prodotti e chissà quali preparati chimici moderni per far sopravvivere qualche anno in più un paio di scarpe logore che ormai non servono più perché troppe rovinate. Basta poco, un piccolo investimento. Basta prendersi cura, perché in fondo, quegli oggetti che portano in giro, al comodo, i nostri piedi, possono servirci per del tempo in più, anche se per un mese o due mesi in più… si, è un buon investimento!
Diventa così l’amicizia. Un investimento… Come un vecchio paio di scarpe… per quanto logorate possano essere, a quelle vecchie scarpe siamo affezionati, non vorremmo mai distaccarcene… un po’ come una borsa o un cappello, un orologio, qualsiasi cosa vediamo “vecchio”, in realtà per noi è ancora bello, perché è legato ad un altro tipo di bello, quello che teniamo serbato in noi, dentro, nel profondo, un ricordo lontano che brilla di luce propria.
Per quanto quelle scarpe possano sembrare vecchie, almeno dal loro scatolo, non lo sono, perché di loro ci siamo presi cura in questi anni…
A maggior ragione l’amicizia, da curare, osservare e rispettare nei suoi silenzi, insistere per quanto si può, non lasciandoci mai nuocere… un po’ come passare della crema “testa di moro” su un camoscio “miele”… un bel effetto, vero?
Amicizia che nasce dal nulla e nel nulla svanisce? Un paio di scarpe oggi non lo abbiamo per poi darlo via domani… no, lo teniamo con noi, prima o poi lo rimettiamo a meno che non ci vengano strette (d’altra parte è un po’ la cosa che ho fatto io con le scarpe della mia prima comunione…). Le mettiamo via, ce ne disfiamo, per sempre, o le diamo via a chi ha bisogno di avere i piedi coperti per camminare.
Un passo dopo l’altro quei due vecchi contenitori per piedi camminano ancora, servono ancora…
L’Amicizia che se c’è, se sappiamo riconoscere tale, non va lasciata mai sola, mai sola a se stessa, abbandonata, senza spiegazioni, presi da stanchezza improvvisa, repentina, problemi che sembrano insormontabili: a cosa serve l’amico allora? È colui che aspetta il tuo ritorno? È forse colui che pazienta aspettando che quelle scarpe possano riportarti sui tuoi passi? L’amico è forse chi ti da un bel paio di scarpe da trekking per salire le impervie montagne della nostra vita?
O forse l’amico è colui che decide di lasciarti andare a piedi nudi, per le strade del mondo, senza un paio di scarpe comode che t’accompagneranno ovunque, perché in fondo è convinto che prima o poi, in qualsiasi posto ti troverai, “piedi piedi” un altro paio per i tuoi piedi lo troverai…

 

 

Non più oggi

Come in un giorno di pioggia,
dietro la finestra di casa,
vedo le persone passare.
Bagnate, corrono, si affannano,
in cerca di un riparo.
 
Aprono ombrelli, coprendosi il capo,
restano scoperte le mani e i piedi…
Passi ingoiati da pozzanghere,
come in laghi non ampi,
generano piccole onde.
 
Al di là del vetro ci sei tu,
la testa chinata su fogli,
distrattamente li leggi
attendendo il sole.
Come io la luce dei tuoi occhi…

Oggi

Molti fili sottili, trasparenti
arrivano dall’alto, cadono.
Restano sospesi
in aria, alcuni minuti forse,
attimi ancora… e poi?
 
Anime silenziose, vicine prima
nuotano ora più lontane,
girano, volteggiano…
E rimangono in cielo
le nuvole gonfie,
attendono solo il vento.
 

Passa la palla… tiraaaaaaaaa!

Il campo in assoluto dove giochiamo la partita più grande è quello della nostra vita. Non possiamo farci niente, siamo in campo, prendiamo la palla, corriamo, dribbliamo e arriviamo fino in porta per segnare… e se il portiere respinge la palla? O se la tiriamo fuori?

L’importante sarà aver fatto una buona azione, un buon gioco, un bel gioco di squadra, uniti insieme agli altri giocatori, mai da soli. L’importante non è vincere… ma partecipare! Una novità vero? Questa è gia una vittoria, la migliore delle vittorie possibili, perché in fondo, per Dio siamo tutti vincenti, destinati ad essere felici e se non lo siamo al momento, forse è perché non vogliamo esserlo. Non ci accontentiamo di quello che abbiamo. Vogliamo avere altro, vogliamo avere molto di più, possedere non fruire ma possedere e utilizzare. E non ringraziamo mai, ad esserci sinceri delle piccole gioie.

Per noi non deve essere così. Non vogliamo perdere, non vogliamo vincere, sappiamo già che siamo vincenti: vogliamo solo partecipare, costruire insieme un bel gioco di squadra. E cominciamo poco alla volta a capire come “funzioniamo”, quali sono le nostre priorità, le nostre paure, cosa fa abbozzare un sorriso sul nostro viso. Poco alla volta. Pazientiamo. Volersi vedere per parlare, ma le distanze come al solito ci separano, gli impegni reciproci non ci aiutano… e tutto così… va avanti così strano. Non rimpiangiamo il fatto di esserci conosciuti ne essersi detti tante cose… non rimpiangiamo niente, sappiamo solo che se un giorno non ci saremo più, mondi diversi sempre più lontani,  sapremo chi abbiamo perso, occorrerà solo del tempo per recuperarsi, per recuperare quei piccoli pezzi di noi che abbiamo lasciato tra il cielo e la terra…