Titolo obbligatorio
Santa Pasqua!
Papavero
Sorrisi
Piccoli minerali
Granelli
Ascoltare oggi canzoni che avrei potuto ascoltare ben 15 anni fa è come aprire uno scrigno di legno, come quello piccolo che mi ha regalato una carissima amica per Natale, e frugarvi all’interno cercando chissà cosa, o aspettando che invece, da quella piccola scatola, fuoriescano grandi cose.
Grandi cose da piccole cose. È un po’ come il Magnificat, il Signore che opera grandi cose nella piccola Maria… forse perché non ho ancora celebrato il vespro, forse per quello che ho vissuto oggi, forse perché in fondo sono così. Forse. Ma ora non posso fare a meno di scrivere quello che ho dentro, quello che è uscito dallo scrigno, quanto ora mi ritrovo a condividere…
Comincerei da una domanda, dov’ero quindici anni fa? Ero ancora alle scuole superiori… e allora?
Il punto non è quanto tempo fa, ma cosa hai fatto qualche anno fa. O forse dovrei dire diversamente, magari dovrei cancellare tutto e riscrivere: mentalmente sento di non aver chiaro quanto devo scrivere eppure sento che devo farlo.
Una chiarezza che sarà svelata in itinere? Non credo, ma spero per chiunque legga che possa intendere il mio dire, che almeno il mio scritto possa essere compreso, non tanto per i limiti dei lettori ma per la mia rinsavita illuminazione dei concetti espressi.
Fine della premessa… ricominciamo!
Sto ascoltando in questi giorni brani di artisti che non sentivo da un pezzo, gruppi o cantanti che ho apprezzato nel passato per qualche ragione ma poi persi di vista,o per meglio dire d’orecchio… e così mi sono ritrovato a coniugare ancora una volta il passato ed il presente, tramite delle canzoni che hanno caratterizzato delle fasi della mia vita. Per completare il tuffo nel passato ho pensato bene di estendere la mia visita alla biblioteca della facoltà di Lettere e Filosofia, anche al mio “vecchio” dipartimento di Idraulica della facoltà di Ingegneria. E pensare che avevo una certa titubanza ad affrontare questo mio passaggio… un modo come un altro per vedere amici, ex colleghi, che non vedevo da un po’.
Strano. Ho rivissuto in modo differente da quanto, fino a ieri o fino a stamattina, pensavo di dover vivere con questa mia visita ai luoghi del passato. L’ho vissuta. È stato bello ripassare per quei corridoi, assistere a qualche esame, parlare con gli amici, vecchi e nuovi. Tra le battute pungenti di Chiara, e quelle di Gaetano e Vincenzo, è stato un ritrovare vecchi ricordi, è stato…
È stato un colpo al cuore sentir dire di alcuni prof che sono morti, quell’ingegnere simpatico per me e Vicio, è morto due anni fa per un tumore… mi sono fermato un attimo quando l’ho saputo, come se un pezzo di quel passato fosse cancellato, tra pompe e turbine fosse andato via anche quell’ingegnere… mi spiace tanto… e poi penso alle persone che mi chiedono come fare ad affrontare le situazioni in cui si trovano ora, malattie o morti improvvise di persone a loro care… Poi Marcello mi ha parlato delle vicissitudini familiari di un amico comune, di quella situazione particolare nella quale si è trovato con la nascita di un figlio… Mentre Marcello parlava sentivo in lui la forza che avrei dovuto avere io nel dare forza agli altri. A volte i “laici” sanno quello che si deve dire meglio dei “preti” o dei “mezzi preti”…
Che dire ancora? Cos’altro aggiungere? So solo che ci sono lezioni che non impariamo sui banchi di scuola o delle facoltà, ma continuiamo ad imparare giorno dopo giorno, anche incontrando chi non vediamo da secoli o chi inaspettatamente da più di quello che pensi possa darti! Perché non ringraziare, tra le righe, chi ti ha ringraziato per la tua amicizia? È strano, anche questo è strano, non mi sarei mai aspettato che mi ringraziasse un prof della facoltà teologica, per l’amicizia che gli ho dimostrato… proprio il giorno in cui dovevo fare esami con lui, ancora una volta ricevevo una lezione che difficilmente dimenticherò. Altro che fatica ad imparare! In modo naturale sono stato spiazzato da un suo semplice cambio di battute che mi ha dato ancora tanto da imparare.
“Avviene come in una clessidra, nella quale si svuota il recipiente superiore (il futuro atteso) attraverso lo stretto passaggio (il presente) mentre si colma il recipiente inferiore (il passato ricordato)”. H.U. Von Balthasar
Dovrei forse imparare a chiudere gli occhi e lasciare che sia ancora una volta Lui a guidarmi tra le sabbie del tempo…
Si comincia sempre con un passo…
In fondo, per voler bene a qualcuno, devi esserne innamorato. Profondamente. Radicalmente.
Lo stesso innamoramento di due persone che si dicono si? Per sempre? Questo è quello che caratterizza l’essere amici, il non aver paura dell’eternità, il non aver paura di un per sempre che si concretizzi giorno dopo giorno, anno dopo anno, istante dopo istante. Per sempre che è sempre.
Ma è davvero la stessa cosa? O sono due modi amare differenti? Forse alla base hanno qualcosa in comune, lo stesso denominatore comune…
Qualcuno potrebbe avanzare una richiesta… “Si dovrebbero prevedere delle forme di istituzionalizzazione dell’amicizia, dei riti, delle cerimonie, che ne so anche la presenza di un notaio andrebbe bene”. Ma contenere l’essere amico di Tizio o di Caio o di Sempronio, all’interno di rigide formule “legalistiche” vorrebbe dire perdere il sapore autentico della libertà, una componente essenziale non di un rapporto filiale ma dell’intera vita dell’uomo. Ed è importante dire che libertà non è affatto riconducibile al motto di alcuni satanisti con il loro “fa ciò che vuoi” ma ad un invito che Agostino rivolge commentando la prima lettera di Giovanni, i versetti dal 4 al 12 del capitolo 4: «Ama e fa’ ciò che vuoi (Dilige et quod vis fac)»: non un’esaltazione del sentimento e del capriccio, bensì un’esortazione alla responsabilità per il bene del prossimo. Dobbiamo perciò porre sempre alla base delle nostre azioni l’amore per il prossimo. Amore e bene per il prossimo.
C’è sempre qualcuno che può ascoltarti e con cui puoi confrontarti…
L’amicizia diventa così un pallido ricordo di una stanza della solitudine, anzi illumina di altra luce quella stanza dentro la quale ci siamo chiusi a volte, preda dei venti di rabbia e disperazione. È un porto sicuro dove trovano approdo tutte le navi che solcano i mari in tempesta. Una volta approdati, scesi dal nostro mal ridotto vascello, incontriamo chi ci da una mano, per rimetterci in sesto, per riparare le vele, per riempire di preziose scorte le stive e dopo alcune notti di meritato riposo, ripartire, prendendo il largo.
Prendere il largo… aprire ancora una volta le vele e lasciare che il vento soffi, le gonfi e sospinga la nave ed i suoi occupanti verso altre mete, altri lidi, altri porti dove attraccare…
Una volta sbarcati avevamo avuto la possibilità di parlare con tante persone, dal locandiere all’ingegnere, dal semplice operaio che tappava le falle a quello che aveva reso di nuovo forte ed impermeabile la vela… ma non è detto che in quel posto potessimo trovare degli amici: forse qualche altro capitano con cui confrontarsi per tracciare la nuova rotta, qualche vecchio compagno di sbronza, ma non credevo si ricordasse di me e degli altri, d’altra parte lo avevo visto sempre dentro la locanda, brillo, molto brillo, per quanto alcool avesse dentro, sono sicuro avrebbe preso fuoco al suo primo sospiro davanti ad una candela…
Un giorno sarò talmente bravo che risponderò alle domande con altre domande: per ora mi limito ad abbozzare risposte a quelle stesse domande che sono un po’ mie, un po’ vostre… come le risposte, fondamentalmente nostre.
Passi solitari
Buio… nella solitudine sento la tua mancanza, sono i piccoli gesti richiamti dai miei pensieri, è questo quello che mi manca, i piccoli segni del vivere quotidiano… ma è buio… vedo appena i miei passi, lenti, mai stentati, li sento, sento il rumore. Ma è buio… se vuoi puoi accendere la luce, (mi chiedo dove però sia l’interruttore…). La porta è aperta, entro lentamente, si chiude la porta ed entro, supero la soglia, cammino nel corridoio stretto facendomi luce con il telefonino, vedo i miei passi, lui procede sicuro.
Dove stiamo andando? Non conosco la casa, ma è fredda… perché è fredda? Perché è senza lei… o forse lo è solo perché è fredda… e se lei fosse in casa con lui?
La stanza è spoglia, nessun segno di vita vissuta, è una vita sopravvissuta alle tragedie di ogni giorno, piccole e grandi, l’arredamento rasenta l’essenziale: nessun quadro, nessuno specchio, nemmeno le tende… Un letto, una coperta, una scrivania, la finestra chiusa, neanche il sole entra per riscaldare quella stanza. È fredda, è buia… era buia, ora ci sono, non lo è più… rimane il freddo, non è più buia.
Mi domando quante volte lui possa domandarsi dove sia lei, cosa stia facendo senza di lui… Dove sei? Con chi sei? Una giacca e una cravatta sono posate su una sedia, delle scarpe a terra fuori dai rispettivi scatoli… c’è un po’ di disordine, ma non vedo altro… il corridoio lungo mi ha portato in questa stanza, l’ultima, l’unica che ho visto illuminata, non so come siano le altre, ma non importa, questa è in fondo la sua casa, una casa senza di lei.
Che fare? Parliamo, sistemiamo delle cose sul pc… poche cose, essenziali, vitali, scambiamo delle parole sul vago, parliamo, aspettiamo che le “cose” del computer si mettano a posto da sole…
Aspettiamo, bisogna avere pazienza. Alla fine di tutto vado via, lasciando solo chi era già solo, tra il buio e la solitudine, nella stanza fredda di una casa fredda: solo una pizza calda riscalderà lo stomaco, sperando che quel calore arrivi fino alle ossa, fino al centro del cuore… sperando che arrivi la pizza…