Domande davanti ad uno specchio

Voglio scrivere a chi, ormai da tempo, non ha più notizie di me attraverso le pagine di un blog.

Vorrei poter raggiungere ancora una volta chi è lontano, e come per incanto renderlo presente alla mia vita, nella mia vita.

E ancora una volta prendere il mio cuore tra le mani e donarlo a chi può farne un buon uso.

Sorrido e scrivo, fa freddo oggi, ancor di più dopo essersi lavati con l’acqua fredda. Lo facevo anche in Albania qualche anno fa, ma almeno era estate. Invece tra poco arriverà l’inverno, per me che abito a Palermo difficile pensare che ci sia davvero freddo come in altre parti del nord italiane.

Ma per me fa freddo. I piedi sono due piccoli blocchi di ghiaccio infilati nelle scarpe. Anche ieri mattina ho provato questa sensazione di freddo continuo ai piedi per tutta la mattinata.

Forse dovrei camminare, mettermi in moto al posto di scrivere davanti al pc.

Ma è già da troppo tempo che voglio farlo e soprattutto che devo farlo: è una valvola di “sfogo” per dire quanto ho dentro.

E cos’ho dentro? Cosa tengo in fondo dentro di me? Se guardo le mie tasche sono vuote: ma non basta averle piene per dire chi siamo realmente.

Sono l’amico che è nelle difficoltà, quello che riflette  davanti al suo specchio e vede la sua immagine diversa da quella che pensava di poter avere. Coraggio!

A quell’amico non posso che essere vicino.

Sono me stesso. Sono quello che mette in gioco se stesso, scommette ancora una volta sulla propria vita, per darsi agli altri. A ciascuno con modalità differenti, come suggerisce a volte lo Spirito, molte altre l’istinto. E se è un istinto che si adegua alla vita nello Spirito, poco alla volta le due modalità concorreranno nell’unica dimensione che sa dell’Amore.

Solo che vive pienamente nel tempo è vivo nell’Eternità. Solo chi sa che non c’è misura nel corrispondere l’amore all’Amore, sa di gustare la dolcezza della vita eterna.

Ci crediamo? O scriviamo parole su parole solo per riempire il mondo di vocali e consonanti?

O forse la nostra rivoluzione comincia e poi maldestramente si interrompe a causa del nostro voler rompere tutto e tutti repentinamente? Dovremmo prendere esempio dai piccoli passi delle formiche che costantemente lavorano, giorno dopo giorno, soprattutto lavorano insieme.

La pazienza e l’impazienza. Preghiamo perché il Signore abbondi in noi la sua pazienza e mandi via la nostra impazienza: questa dove ci porta? Ci porta a gestire rapporti umani che sanno di fretta, di servizio dato all’altro solo per fare un servizio e non per dare un servizio alla persona e alla comunità. È forse più sicuro chiudersi nel proprio recinto, operando nel silenzio, restando chiusi non solo agli altri ma alla fine anche a se stessi?

O è forse più “utile” rispondere pienamente alla chiamata che abbiamo avuto in dono?

Se sono figlio o figlia risponderò da figlio o da figlia, amerò i miei genitori pensando ai giorni della loro vita che hanno dedicato alla mia… è giusto dare loro ascolto… e se non ci trovassimo in queste condizioni bisognerebbe solo avere fede, confidare in Uomo che non tradisce, Colui che ci è accanto da sempre.

Se sono un lavoratore, se svolgo un servizio presso una comunità, se ho il capo “pesante”, se mi sento addosso lo stress, l’affanno per dei giorni che passano come un tormento, giorni in cui vedo cambiare i miei piani, la mia vita pianificata in un modo… che passino pure queste tribolazioni ben altro è il premio alla fine dei nostri giorni. Ci crediamo?

L’orizzonte della nostra vita è limitato dai nostri stessi occhi. Per quanti di voi hanno fatto topografia basterà pensare al problema del faro, da quale distanza è visibile un faro sulla costa noti il coefficiente di rifrazione dell’atmosfera, il raggio del globo terrestre, l’altezza del faro.

E se Dio fosse quel faro? Sarebbe davvero alto! Allora nel nostro orizzonte troverebbe sempre la sua visibilità e, a quel punto, l’unica colpa sarebbe nostra, vederlo e non fare niente per raggiungerlo.

Ma per quanto alto possa essere quel fare non possiamo trascurare quanto può rendere difficoltosa la visione… già, come la mettiamo con il coefficiente di rifrazione? Non è solo la nebbia che cala nella nostra vita improvvisamente, dobbiamo tener conto anche di altre piccole cose…

Dobbiamo tener conto di noi stessi. Dobbiamo renderci presenti a noi stessi. Dobbiamo cercare in noi quel tesoro che abbiamo ricevuto in dono e metterlo a frutto.

Si, investiamo il nostro tempo, per una buona causa, vivendo nell’attesa che sa di gioia, non affanno, non terrore, ma gioia.

Un inno di Romano il Melode dice che la “Vergine oggi ha generato il sovra essenziale”. La traduzione italiana riporta che la “Vergine oggi ha generato l’Eterno”.

Da quale parte ci troviamo allora?

Dalla parte del bene che vede nascere ancora oggi, istante dopo istante, vede nascere la speranza, o dalla parte del male che ormai non vede più nessuna speranza?

E per quanto male un uomo potrà mai ricevere può chiudere del tutto la porta alla speranza?

Deve solo sempre condananre gli altri dicendo che ci penserà il giudizio finale? È giusto ripetere che il male fatto da loro sarà Dio a computarlo come condanna? Non è più giusto pregare per la conversione lasciando che lo Spirito compia in noi la mitezza evangelica? Non siamo chiamati ad essere semplici come colombe e prudenti come serpenti?

Chi è sovraessenziale, chi è Eterno, può lasciarsi sfuggire l’occasione di entrare in relazione? Può negarci mai la possibilità di entrare in comunione con Lui? Può essere mai occupato in tante altre faccende e dire che non gli interessiamo? Ma è o non è l’Amore?

Possiamo allora mettere le briglie all’Amore? Possiamo prendere l’Amore e dirgli di non amare più? Chiudere il suo splendore in una piccola scatola…

Lo abbiamo fatto tante volte… basta interrogarsi a fondo e trovare una brutta risposta, abbiamo fatto anche di peggio a volte. Abbiamo fatto di peggio.

Possiamo sempre fare di meglio, gettare tutto il male che abbiamo fatto e trovare la forza e il coraggio per ricominciare… ricominciare mettere tutto da parte e ricominciare, ma non tra i rumori del mondo, della notte brava che si può passare in compagnia di amici, in giro per locali, tra un aperitivo e un drink… non è questo ricominciare, per me è ben altra cosa. È chiudersi nella propria stanza, un giorno, una settimana, un mese, chiudersi chiudendosi per poi riaprirsi ancora una volta con rinnovato entusiasmo. È soprattutto essere sempre presenti a se stessi. È la vita che chiama alla vita, è l’amore che chiama all’Amore. Sono cose che non mi stancherò mai di ripetere. Si ricomincia mettendo da parte quanto si è fatto e dal quel silenzio embrionale, solo da quel silenzio, ripercorrere i passi che ci hanno portato a quello che siamo oggi noi. E dal silenzio, da quell’unico silenzio cominciare di nuovo ad ascoltare… La Voce.

La voce che per noi che ci professiamo cristiani è la voce-parola che si “attendò” in mezzo a noi.

La Voce che ancora una volta attende la nostra voce, la nostra risposta, quella che non arriva. Rimaniamo nel nostro silenzio. Non pazientiamo, rimaniamo nell’assoluto silenzio, nella perfetta indifferenza come se il mondo andasse per i fatti suoi. E non fossimo affatto nel mondo.

Troppe domande, quante domande? Forse è più da ammirare chi domande non ne fa più, chi ha ormai ha la coscienza anestetizzata. Ma il dolore nel profondo rimane. Ditemi se c’è un dolore che non fa più male, ditemi se tutte le vostre ferite sono ormai sanate… un genitore assente, un amico lontano, coetanei che sembrano degli eterni Peter Pan… basterà aprire gli occhi, pulirsi le orecchie per vedere e sentire ancora una volta il dolore che è nel mondo? Basterà dare una mano, stringendola forte a chi è ne bisogno, basterà sorridere dispensando sorrisi a 360° ? Basterà far finta che tutto questo non ci sfiora minimamente per andare avanti come se nulla fosse? Verremo ingoiati dal nostro stesso nulla, dal nulla che contribuiamo a creare, togliendo spazio vitale all’Amore.

 

Pensare che l’Eterno si sta per fare carne, che si è fatto uomo per noi.

Li si ferma la ragione e presa per mano la fede veniamo condotti fino alle porte del Regno… che non è così distante, è già in mezzo a noi!

 

L’unica vera risposta alla nostra umanità ferita è l’amore. L’Amore.

Non ti abbattere, non ti scoraggiare, cresci, cresciamo, diamoci una mano, come fratello o fratellone, a te che puoi essere sorella, sorellina o sorellona, a te che puoi essermi fratello, amico, compagno di viaggio, di cammino.

 

La Vergine ha generato il Sovraessenziale.

E ancora una volta scenda in noi lo stupore…

 

 

Non è un arrivederci, non è un addio… è solo un saluto.

“Ciao Massi, la mia situazione è parecchio complicata…”

Comincia così a scrivere una mia carissima amica: vorrà dire che pregherò ancora di più per lei, per la sua situazione complicata.

Vabbé, anche per voi…

Per la mia di situazione, miei cari amici ed amiche, lettori e lettrici, conosciuti e sconosciuti, vicini e lontani, devo pensarci io!

Non restateci male per la mia decisione, no, per favore non lo fate… Voi tutti ce la farete, non temete, il Signore è con voi, da sempre!

 

Allora, preso da questa giornata che sa di pioggia e sa di lacrime (però come tutti sappiamo dopo la pioggia c’è sempre il sole! :-)), preso da uno stato influenzale che mi perseguita da quasi dieci giorni, preso da un senso di inquietudine profonda, preso dal sentirmi di non essere all’altezza adeguata, dal non dare una risposta sufficiente alla domanda dell’Amore che vuole l’Amore, preso da una decisione che avevo posto come risultato finale del ritiro iniziale del Seminario, insomma preso da tutto ciò non mi rimane che agire…

 

Saranno giorni, saranno mesi, saranno anni: avrò bisogno però di spazi più personali, fatti di silenzi e di assenze per sentire il presente che si fa Presente, Dono, regalo, gratuità, incontro nel quale si manifesta la sovrabbondanza d’Amore da riversare negli altri!

 

Allora via, vado via, “scappo”, "fuggo" da me stesso per trovare ancora una volta me stesso: mi allontanerò repentinamente da alcune cose che hanno creato però lacune, andrò via da msn, via dal mio space (vabbé un aggiornamento ogni due mesi si può fare), via cell (per quanto è possibile lo farò)…

Vedersi o sentirsi sarà facile?

Tornerò a fare quello che facevo prima: incontrare le persone, stare con loro (ma non è vero che l’altro è il mio inferno, anche se l’ho pensato decine di miliardi di volte!)

Faccia a faccia, voce a voce, magari anche via e-mail, via lettera, via mms, via sms… ma con moderatezza!

Cercherò di stabilire nuovi piani di incontro che vadano al di là del semplice scambio di informazioni binarie.

Passerò dal binario all’umano.

Un uso della tecnologia al servizio della realizzazione umana e vocazionale, non il viceversa, un’adesione al Progetto che è nel cuore dell’uomo.

 

Ci proverò…

Con l’aiuto di Dio ci riuscirò!

Con il vostro aiuto, sarò sicuro in questo nuovo cammino…

 

Non è un arrivederci, non è un addio… è solo un saluto, il mio.

Appresto!

Da lasciare asciugare…

Uno dei problemi che si rischia di vivere con maggiore disagio in Seminario (o forse una volta fuori da questo) è lo “scollamento” tra la realtà che viviamo, quella della formazione, scuola e casa di preghiera, dello studio in una facoltà teologica, delle persone che incontriamo nelle diverse parrocchie, delle nostre esperienze comunitarie, e la realtà che invece “scorre”, come se fosse un fiume in piena, nel resto della nostra città.

 

Tu da che parte stai? In che parte del mondo ti ritrovi a vivere? La domanda può sembrare banale, affrettata, apparentemente forzata: ma ci proietta in una dimensione che ancora deve venire, un mondo reale all’interno del quale ci si muoverà ancora come cristiani, con una responsabilità in più, quella dell’essere pastori, guide forti e sagge delle comunità che saranno date in custodia.

 

Affacciarsi ad una finestra e vedere la vita che va avanti, nonostante si provenga da quella vita.

Ognuno di noi seminaristi proviene da esperienze diverse: lavoro, studio, altre esperienze religiose. Ecco, vedere il mondo da un oblò può togliere il fiato o creare un piccolo momento di confusione.

I fratelli e le sorelle che vediamo muoversi, in fretta, frenetica fretta, all’interno di grandi supermercati, o all’interno di piccole automobili lungo grandi strade, ci deve per forza interrogare sul senso della nostra missione, sul senso del nostro essere “mandati a”. A chi saremo mandati?

 

Sarebbe facile pensare che il nostro ruolo apostolico-missionario possa esaurirsi all’interno delle quattro mura di una chiesa. Sarebbe troppo facile e abbastanza riduttivo.

La sfida diventa quella di una missionarietà che va oltre le mura. La scavalca agilmente? No, la nostra missionarietà apre le porte delle chiese e lascia che da quelle porte spalancate possa esserci il punto di contatto tra le due realtà.

Uno scollamento evitato aprendo un varco, aprendosi ancora una volta all’altro.

Prima di unire le parti bisogna pulirle.. poi stendere un sottile strato di colla, lasciare asciugare per qualche minuto; unire le parti premendo con forza per alcuni istanti. Ecco come si incolla qualcosa che si è rotto… penso più che altro ad una scarpa, con la vecchia suola in gomma che ci ha portato ovunque. Il freddo, l’acqua, il caldo, hanno rovinato la presa della suola sul cuoio. Basta poco per incollarli. Prendi della colla, la stendi, fai asciugare, premi e il gioco è fatto!

 

Per evitare lo scollamento basta invece aprirsi.

Aprendosi all’altro per l’Altro.

 

Esserci per, esserci con l’altro per l’Altro…

Incontri

Come su una metro

veloci incontri si consumano,

gente si affanna,

avanti, indietro per il mondo:

il proprio.

Un io e un tu si incrociano.

 

Rapidi saluti, su rapidi vagoni.

Si incontrano sguardi, sorrisi:

si scambiano tra passeggeri distratti.

Chi sale, chi scende alla prossima fermata?

 

Parte il convoglio,

nelle viscere della città ingoiato.

Buia è ormai la sera.

 

Chi va? Chi resta?

Continua il tuo viaggio,

sia sempre buono…

Un ritorno a casa

Odi

i vespri

alle venti…

 

Sa di rumore lontano, disperso, non perso nel tempo. Disperso.

 

Sa di un orecchio che ascolta, teso, pronto come in agguato, prende rumori nell’aria, li analizza, fa suoi i suoi, comunica i suoni che hanno un senso, un significato profondo sul piano dell’esistenza. Sono. Nel loro essere hanno il senso dell’esistenza.

L’ora tarda lascia intendere che il vespro non è in orario… è tardi, sul tardi. Alle venti.

Quasi in un gioco di parole che non possiamo tradurre in altre lingue. Alle venti… tra i venti che spirano intorno senti i vespri lontani. Sanno di preghiera distante, da un uomo distante, per un uomo distante.

Sa di preghiera di un uomo che cerca un altro uomo, senza Dio? Uomo che chiama altro uomo per mezzo di Lui, uomo raccolto nel proprio io per dire ad un altro: “Vieni…”.

Sa di dolore taciuto, soffocato dal di dentro: non un lacrima versata, non una parola scritta. Non un giorno passato tra mille e affannosi pensieri. Sa di giorni che passano, di dolci pianti e tristi lamenti. Sa di amore lontano, sa di amore vicino, di occhi che cercano visi stanchi che si rifugiano tra la folla. Sa di tutto e sa di niente.

 

Sa di amore che si espande, che come un gas occupa tutto lo spazio disponibile al mondo, sa di amore che sa di Amore. Amore che si estende fino alle isole e ai mari lontani: non si ferma, continua la sua corsa, folle. Si dilata pronto ad accogliere. Anche una nuova vita.

Sa di gabbiani, di foto scattate da altri. Sa di giorni passati a ridere di niente, di nuvole barocche che giocano a rincorrersi. Sa di silenzi colorati d’azzurro nel cielo, di raggi luminosi che scaldano fili d’erba verde. Sa di lenti gesti, di gente stanca che torna dai campi,  di fatica umana, quella che si ha nel vivere.

 

Sa di cavalli che corrono liberi, che attraversano colline, corrono veloci su piccoli fiumi, saltano ostacoli. Potessero loro parlare direbbero chissà cos’altro. Ma corrono e vanno e non lasciano altro che il loro sapere di…

 

Sa di tempo che scorre, non corre ma scorre, lento, come una piccola clessidra va… o come fiume che scorre nel suo letto, quel fiume attraversato da quei cavalli.

Tempo che prende con se il seminatore, lo invita a piantare con coraggio il seme che qualcun altro raccoglierà quando quello sarà pianta cresciuta e robusta.

 

Sa di casa, di cena, di amici.

Sa di giorni che non torneranno più…

 

Sa di spazio chiuso che si apre… ancora una volta si apre.

All’infinito, nell’Infinito.

 

Ritiro e dintorni…

Preso dal mio essere “ritirato” da tutto e tutti ho lasciato spento i miei due telefonini… gli squilli tacciano una volta tanto!

Sono rimasti in silenzio, chiusi dentro un cassetto della mia scrivania di casa, in silenzio, spenti, muti, solitari… in attesa di… di cosa?

Di una città ritrovata, nel traffico quasi assente delle 17.40, in giro con la macchina a destra e a manca cercando di trovare degli amici a casa. Ma non ho trovato nessuno, nessuno ho trovato, nessuno si è fatto trovare: forse avrei dovuto cercare meglio.

Ho trovato invece le conclusioni per questi giorni di ritiro, in questo dialogo a tu per tu con il Signore. Risposte a domande reiterate nel tempo, domande come al solito non ascoltate o rimaste semplicemente inevase, forse rimandate al mittente perché il destinatario è sconosciuto. Chi è veramente conosciuto è il mittente: io.

In questi giorni riflettendo sulla frase dell’apostolo Paolo nella prima lettera ai tessalonicesi: “Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che è buono”, e da questa rimandando ad altri passi della lettera come anche alle epistole ai romani, ai corinzi, da questo punto particolare fissato come partenza sono conseguite parecchi cose, molte cose. Dalle più banali alle più complesse, dalle più complesse alle più banali, anzi semplici, una miriade di piccole cose semplici che fanno problemi complessi.

Il silenzio è il custode dell’essere. Essere uomo, essere cristiano.

Non importa chi hai davanti, no davvero, non importa chi ti ritrovi di fronte, chi sia il tuo interlocutore o interlocutrice, il viandante che incontri per strada, il povero che tende una mano al semaforo, la signora che vuole essere aiutata a portare la spesa, il vecchio che è caduto e deve rialzarsi: il vecchio che è vecchio nel cuore o solo perché è avanti negli anni. Non importa chi sia il tuo altro, l’importante sarà sempre riconoscere in quegli occhi gli occhi di Cristo.

Occhi azzurri, verdi, castani, neri… occhi che proiettano la profondità dell’anima. Occhi sfuggono.

 

Esaminate ogni cosa… tutto ho esaminato, sono andato indietro nel mio tempo trascorso, in quello vissuto già… quante cose ho fatto, quante persone ho incontrato, quanti errori ho fatto. Dovrei forse fermarmi? Fermarmi per pensare e andare avanti. Si riprende il cammino in seminario si va avanti, nonostante tutto si va avanti! Bisogna prendere solo il coraggio, magari avere la spinta giusta e andare.. ripartire dopo una sosta può essere difficoltoso ma se si è preso tempo per riposarsi, se si muovono i primi passi con lo spirito necessario, come si suol dire chi ben comincia è a metà dell’opera… basta che non sia l’opera dei pupi!

Trattenete ciò che è buono… mettere tutto dentro il nostro zaino dell’esperienza? No, solo quello che è buono, solo quello che è bello… Buono e bello. In modo relativo? No, Assoluto.

Tutto ciò che ci riconduce a Lui è degno di essere messo da parte, per gustarlo dopo, per assaporarne ancora l’essenza, per farne ancora tesoro nei giorni che verranno.

 

Un pensieroso andare,

giro in auto,

non sapendo la strada.

Il dolore dei giorni trascorsi

la gioia dei giorni vissuti

ti sono compagni.

Seduti li accanto sul sedile.

 

Lungo la strada… la svolta.

Incontri.

La via.

La verità.

La vita.

A volte basta cambiare solo la stanza…

Non è la prima volta che non so cosa scrivere, ma questa volta non è per mancanza di idee, o per mancanza di buona volontà… alla fine però la musa saprà come ispirarmi, lascerà scrivere ancora parti di me… pezzi importanti di me. Io non ho paura di dire quello che ho dentro.
Al contrario di altri, “irresponsabilmente” io non ho paura…
Ma devo cambiare stanza: quella di casa mia non mi piace, non mi ispira, in seminario c’è un altro clima. Forse sono più abituato a stare davanti al portatile che è ormai fisso in seminario che non guardare il monitor del pc di casa. Ma sono solo considerazioni che non portano a nulla, non aggiungono molto di me: parlare di me vuol dire confessare ad esempio le mie paure.
Ho paura di vedere gli altri partire. Ho paura che una volta andate via dalla nostra vita, le persone, gli amici (quelli che riteniamo tali), al loro rientro non siano più quelli di un tempo.
Ed è inevitabile pensare che le persone cambino: davanti a questa realtà propria dell’essere umano, possiamo solo attestare con il tempo le persone cambiano. Chi siamo oggi? Di sicuro non siamo più quelli che siamo oggi, ne tantomeno domani potremo identificarci con il nostro io consegnato al tempo che fugge.
Ho paura allora a dire addio… anche se però non dovrei aver paura di dire a Dio… ti affido a Lui, che pensi Lui a te… io non ci sarò, ci penserà Lui a te…
Viene in mente una preghiera, un’antica benedizione irlandese:
 
Che la via si apra davanti a te:
che il vento soffi sempre alle tue spalle,
che il sole inondi e riscaldi il tuo volto,
che la pioggia annaffi i tuoi campi,
e che, fino al nostro prossimo incontro,
Dio ti custodisca fra le sue mani.
 
Non ricordo se già ho parlato di questa benedizione, scrivo tante parole, ogni tanto qualcuna tende a sfuggire alla mia memoria… o forse è la stanchezza, forse è lo stress, o forse è soltanto la mia vita che va, che continua nonostante tutto.
Se parte un amico è un conto, se torna e poi riparte… si già di questo devo averne parlato, anzi scritto… Essere accoglienti allora diventa una prerogativa della nostra vita, aperti all’incontro, aperti allo scambio reciproco, aperti al dono d’amore che è Amore.
Vanno via anche gli animali, muoiono i cani, muore il pastore tedesco di mio fratello, muore Ahiku… così, improvvisa ci lascia. E lascia in me i ricordi di un piccolo cane che entra nella nostra famiglia, un cane che cresce, che si ammala, che partorisce dei cuccioli… lascia in noi un ricordo, un dolce ricordo, lascia il segno nei cuori…
Allora oggi diventa una giornata da ricordare, diventa un giorno speciale dove per forza si deve dire qualcosa, tutto quello che è stato taciuto nei giorni passati comincia a prendere oggi una forma, una vita che sa di mondo animale, che sa di vita, un procedere nel mio mondo per dire ancora una volta al Mondo chi sono…
Potrò dire che mi mancherà il fatto che mi facesse festa quando andavo a trovare mio fratello, che mi mancherà sentirla seduta accanto, il padrone o il fratello del padrone che danno sicurezza.
Potrò dire che mi piaceva giocare a rincorrerla, a mettere la mia mano nella sua bocca, tanto non stringeva forte, potrò dire che è stato bello vederla crescere… potrò semplicemente dire che mi mancherà, anche perché non ci aspettavamo morisse per un’altra infezione…
Sicuramente non potrò dire che ho seppellito quel cane, massa di morbido pelo, in modo egregio. Di certo aver visto anni fa le puntate della prima serie di Six Feet Under non mi è servito per imparare a sotterrare esseri umani o cani…
 
Non posso dire che ascoltare la stessa canzone possa essermi d’aiuto, ma quando una cosa ti entra in testa è difficile buttarla via… bastano però alcuni giorni e tutto ritorno com’era prima…
Prendono forma i pensieri che abbiamo in testa, assumono forme di amici e conoscenti, sanno di mare, di azzurro, di cielo nuvoloso… sanno di acqua che cade dall’alto, come capelli d’angelo, sanno di giorni di riposo che volgono al termine, giorni in cui ci si concede alla compagnia di altri compagni di viaggio.
Sembrano giorni randagi, tristi, non sapere dove andare, non sapere chi vedere prima, non sapere come raccontare le cose, se celare dietro un si bene, tutto bene, tutto il malessere che pervade l’animo. Come sentirsi imbottigliati, come restare chiusi dentro una giara che maldestramente abbiamo riparato. Quale frattura è stata allora sanata? Soltanto una frattura superficiale, direi quasi apparente. Direi quasi che non valeva ripararla la giara…
E sono giorni in cui presi dai classici bilanci si cerca di fare il punto della situazione, quello che è stato fatto, quello che c’è ancora da fare… Le domande, arrivano le domande, le persone ti incontrano, ti vedono, ti chiedono… quanto manca alla fine?
Di quale fine si parla? La fine che porta in se invece l’inizio… la risposta… anni… tre anni, si credo tre anni alla “fine”… e poi? Come direbbe il signor Pitti, poi mi danno l’attività, il franchising… fosse così facile! Ma non è questione di anni, non è tempo che passa, è vita che cresce, che matura, che consolida la vocazione alla vita stessa.
Dove vai uomo del mondo?
No, comincio a pensare che non devo più essere uomo del mondo, riprendo mentalmente i passi della “A Diogneto”… devo essere uomo nel mondo! Sarà questa la caratteristica necessaria alla mia definitiva scelta sacerdotale? Come potrò portare la Parola agli uomini, come potrò dare il Pane e il Vino a chi ha fame e sete (e non solo di giustizia) come potrò farlo se non sarò per primo io quello che incarna l’esempio che il Signore ci ha dato?
Allora senti il Fuoco che divampa dentro, il Fuoco che si fa strada tra le gioie e i dolori, tra la tristezza e la felicità, il Fuoco che ti dice, non ti preoccupare sii te stesso, vai avanti, non ti abbattere, non ti scoraggiare, non… pensare che tutto sia perduto, sii forte e spera nel Signore!
Dov’è la novità? Da quale parte stare? Da chi dobbiamo difenderci? Da cosa dobbiamo fuggire? Chi è quell’uomo, chi è quella donna, chi sono questi uomini e queste donne che sono stati posti sul mio cammino?  Chi sono tutti quelli che parlano nel loro assoluto silenzio? E di cosa parleranno mai? Sanno di sapere… ma cosa sanno?
E ora non è più un foglio bianco quello che ho davanti, è un foglio che è pieno di me, di parti di me… Quasi una zucca che si sfracella al suolo dopo un volo di nove piani… non ha più la forma di zucca, ma dal colore e dal sapore sappiamo che è zucca… so che è mio quello che ho scritto, lo sento, mi appartiene così come sento di appartenere ad Altro.
Una vita che non è mia, una vita che devo donare, una vita che devo donare per ricevere cento volte tanto… pazientemente, come piccola formica lavorare. Passo dopo passo.
 
Oggi non si può stare in silenzio,
oggi non so che farò di me…
Prenderò delle vecchie lettere,
quelle che sanno di parole urlate,
le rimetterò dentro un cassetto,
e torneranno nel loro silenzio…
Fai un buon viaggio, a presto.
 
Corron le auto,
corre veloce il tempo…