Memorie del tempo verde

“Ciao hai chiamato?”, disse una voce esitante.

“Si, avevo chiamato, era da tempo che provavo a farlo!”, anche quest’altra voce non era da meno.

“Beh si, scusa, non avevo capito, se avessi chiamato tu o se ti avessi chiamato io per sbaglio…”.

“Ah si, per sbaglio… non chiami mai…”.

Si creò un momento di imbarazzante silenzio, altre frasi di circostanza, brevi, brevissime, poi i saluti, chiudendo così la video chiamata.


Il pannello di controllo emise uno strano rumore, come un ronzio, seguito da un suono metallico, poi si accese anche la spia del controllo emozionale, lampeggiando freneticamente.

Il dottor Steven si accorse che intorno agli occhi dell’androide CP567 stavano formandosi delle lacrime.
“Bene, direi che quasi ci siamo! Questi ricordi che stiamo caricando in memoria lavorano sulla personalità, sulle emozioni e sui sentimenti… Sembra quasi che…”.

“Che cosa? Dottor Steven non vorrei che questo modello risultasse più umano degli umani!”, chiosó Fredrik, “Al momento non possiamo permetterci altri errori per questo progetto, ho investito già abbastanza soldi e mi aspetto presto un ottimo profitto!”.

“Fredrik, se non fosse stato cosi avido e attaccato al denaro, credo che questo progetto sarebbe stato pronto molto prima! Le ho sempre chiesto di sognare in grande, di aspettare e pazientare, lavorando con cura e soprattutto educando anche con il cuore, sebbene possa essere una macchina, un androide, CP567 sarà in grado di sognare, ma non faccia pressioni tirando in ballo i soldi!”.

“Dottor Steven… Faccia come le pare e piace, vorrà dire che anche CP567 nel suo realismo sognerà pecore, pecore elettriche però…”.

Il ricordo

“Dimmi ancora, parlami del ricordo…”. “Cosa vuoi sapere?”. “Lo sai, dimmi cosa pensi quando hai un ricordo!”. “Posso pensarci su e poi te lo dico oppure posso abitare ancora una volta quel ricordo e lasciare che anche tu possa abitarci con me…”. “Anche se non ci sono mai stato in quel ricordo? Anche se non mi appartiene?”. “Si, anche se non ti appartiene…”. “Allora parlami del ricordo!”. “Il ricordo è come camminare in una strada buia senza luce alcuna, lentamente il tuo occhio si abitua all’oscurità e riesci a osservare piccoli dettagli, fin quando tutto diventa luminoso e chiaro”. “Parlami ancora del ricordo…”. “Il ricordo sa di parole già usate, di risate già vissute, di rughe che hanno già solcato il viso, sa di tempo che è trascorso eppure è ancora lì…
in attesa di essere vissuto,
anche con gli occhi chiusi…”.

Natale è…

Natale è…

Gli adulti che tornano bambini,

quando disegnano e colorano su fogliettini

il Divino che incanta i piccini…

Natale è…

La famiglia dell’umanità che riscopre l’Amore…

Il pianto lento del bambino, l’urlo disperato della madre…

Il giovane ragazzo che non non vuole vivere più, il giovane uomo che ha davanti gli anni della malattia…

L’anziano abbandonato, messo a riposo in una casa, quello che vede la vita finire e l’affronta con fede…


Dio ti benedica!

Non avevo mai fatto caso che…

Tra un bip e l’altro della cassa, sarà stato l’orario, la stanchezza, forse chissà cos’altro, ho alzato lo sguardo e ho visto un crocifisso.

Spariti dalle aule scolastiche, almeno non in tutte, rimane ancora saldo in luoghi inaspettati.

Un amuleto a protezione del luogo?

No, non è così.

È una croce con il Signore appeso.

Un crocifisso.

Il Crocifisso.

Lo vedo sempre come segno di Speranza e tra le offerte del supermercato, ricordare che l’unica vera offerta da cogliere nella vita è quella della Sua Vita offerta per noi…

Lui ha già pagato, noi ancora aspettiamo il turno alla cassa.

Poggiata la scala

Nella notte la scala posata sul muretto sembrava una via d’accesso al cielo.

“Quanti passi ci separano dal cielo? Quanti sono? Li riesci a contare?”.

“La scala è vecchia, ci sono otto pioli sui quali muovere i passi…”.

“Il cielo è antico, molto più della scala”.

“Questa notte però tra il cielo e la terra ci sono solo otto passi, credo che ne valga la pena affrettarsi prima che arrivi il nuovo giorno”.

“Affrettiamoci prima che finisca la notte: il cielo è antico, anche la terra lo è, solo noi non lo siamo ancora abbastanza…”.

Lui e Lei

“Ma tu hai mai parlato con le piante?”.

“Avrei dovuto farlo per caso?”.

“No no dicevo così… Tanto per dire. In effetti non parli con chi hai accanto da una vita e dovresti farlo con un vegetale?”.

“Stai per caso insinuando che tu sia un vegetale ai miei occhi?”.

“No no… Lo vedi? Non dico nemmeno questo. Volevo solo fare conversazione, tutto qua, ma vedo che non riesco a entrare in contatto con te…”.

“Dovresti allora cambiare modalità… Hai perfettamentw ragione. A volte sei un vegetale ai miei occhi… Ma non vuol dire che per per non provi qualcosa di più profondo e vero…”.

“Allora spiegami cos’è…”.

“Sai è difficile dirlo. Secondo me…”.

Fecero caso alle loro parole che erano tornate a scorrere, piccoli e timidi tentativi. Lui le passò le forbici, lei nel prenderle sfiorò appena le sue mani e le ritrovarono strette dolcemente.
Insieme cominciarono a tagliare via tutti rami secchi dalla piccola pachira.

Fuori il sole caldo infuriava, ruggiti audaci dell’estate ormai alle porte…

Ti è mai capitato…

Ti è mai capitato di stare in piedi e provare la sensazione di cadere?

Invece rimani in piedi. Fermo li. E continui a dire a te stesso: “Sto per cadere!”. Sei in piedi

Così, su due piedi.

Un attimo, un momento, come un capogiro, uno sbandamento. Pensi di poterti ritrovare per terra. Stai fermo su te stesso, ti guardi intorno, tutta gira e giri anche tu, come una trottola a fine corsa…

Un, due e tre… cadi.

Invece sei ancora in piedi.

Chiamalo come vuoi, può essere stato un capogiro, uno sbandamento, una perdita di equilibrio temporanea, uno sbalzo pressorio… o forse doveva andare così.

Si, forse doveva andare così.

Chiudi gli occhi, li riapri, sei ancora li. In piedi.

Tu quel momento puoi chiamarlo come vuoi, mille nomi per mille sfaccettature dell’identico episodio.

Cadere senza cadere.

Io dico che è “Grazia” che arriva e ti sostiene.

Viene dall’Alto, scende fino a raggiungerti, fino ai tuoi piedi arriva… e non si ferma li… scende e poi come un guizzo risale. Fino a riempirti.

Pensavi di cadere, poi non sei più caduto.

Per il resto possiamo sempre confrontarci.

Sempre che se ne abbia voglia o possibilità.

Grati alle grate

E poi ci ritorni ancora, non tanto per ciò che vedi al di là delle sbarre ma per ciò che riesci a sentire.

Il rumore dei banchi e delle sedie
le voci dei ragazzi
l’audio alto dei videoproiettori
macchine e motori che passano accanto.

Ritorni la,
perché è il cinguettio a tenerti compagnia,
annidati su quali alberi,
piccoli uccelli, liberi di volare,
lontani e invisibili ai tuoi occhi,
lasciano segni luminosi nel cuore…

Una mattina

“Credimi, sarebbe stato più facile se non me ne avessi mai parlato.

Sarei rimasto qui, in silenzio ad ascoltare, il vento, le foglie che si muovono tra gli alberi, il cinguettio degli uccelli, il mare danzare, gli aerei partire e atterrare, il suono leggero dei canti in lontananza, il rumore tragico delle folle che si affannano nel loro continuo peregrinare verso mete a me sconosciute.

Sarei rimasto qui, seduto, ad aspettare che nel susseguirsi degli istanti che sanno di eterno, venissi anche a tu, sedendoti qui con me, meditando poi insieme il colore del cielo, quando spunta il giorno e le nuvole si inseguono leggere, fino al sopraggiungere della notte, quando le stelle del firmamento le osservi lentamente vibrare della loro luce così lontana.

Invece sono qui.

Coi miei pensieri a farmi compagnia, messi in moto dalle tue parole.

Ecco, ed ora, pur non essendoci è come se tu fossi qui con me.

Manca il cielo, manca il vento, eppure tu sei qui…”.