san Massimiliano Maria Kolbe



O Dio, che hai dato alla Chiesa e al mondo

san Massimiliano Maria Kolbe, sacerdote e martire,

ardente di amore per la Vergine Immacolata,

interamente dedito alla missione apostolica
e al servizio eroico del prossimo,

per sua intercessione concedi a noi,

a gloria del tuo nome,

di impegnarci senza riserva al bene dell’umanità
per imitare,
in vita e in morte,
il Cristo tuo Figlio.

Egli è Dio, e vive e regna con te…

San Barnaba

Oggi san Barnaba memoria di un apostolo minore: il nome però mi piace, mi ispira…
Barnaba, figlio dell’esortazione, figlio della consolazione.
Ripenso a questo nome da stamattina, voglio fissarne un senso ora, lo consegno una volta alla mia vocazione, al mio essere presbitero, al servizio dell’Amore che esorta e che consola.
Credo di poterlo essere pure io figlio dell’esortazione e/o della consolazione, a partire dalle mie parole e in qualche caso riuscirci con i fatti (si lavora quotidianamente per far corrispondere parole e fatti), perché sono stato esortato pure io, sono stato consolato anche io.
Ciò che ho ricevuto sono chiamato a donarlo, gratuitamente, nelle vite di quanti il Signore pone sul cammino.
Difficile compito, arduo direi, quando siamo chiamati ad esortare e a consolare i nostri familiari, quando siamo chiamati ad annunciare Te ai lontani.
Riesce bene con quelli che sono lontani e vicini quanto basta. Quelli ai quali sei riuscito a trasmettere l’amore per il Mistero di Dio nel quale si è stati innestati.
Lontani, vicini… la distanza giusta vai ad indovinarla! Diversi si lasciano affascinare, camminano con te.
Certi giorni sono loro che ti esortano, ti consolano. Lo fanno consapevolmente, lo fanno inconsciamente. Lo fanno… e ci sentiamo esortati, asciugate le nostre lacrime siamo davvero consolati.
Però rimane difficile farsi vicini, prossimi, a quelli della tua stessa casa, della tua famiglia.
Quelli che sono lontani li lasciamo avvicinare, si accorciano le distanze, quando ci scoprono bravi a farli ridere, siamo simpatici, siamo seri, con passioni varie ed eventuali: preti come cantanti, ballerini, chef, cabarettisti, mattatori, imitatori, illuminati, letterati, eclettici, sportivi… per alcuni siamo pure più loro vicini quando ci scoprono peccatori, quando ci riveliamo con tutto il bagaglio di fragilità e tragedie personali.

Aiutateci però ad essere esortatori e consolatori.

Aiutateci a rimanere tali, aiutateci a donare nelle vostre vite questo particolare aspetto del ministero presbiterale.
Ce ne accorgiamo quando facciamo bene il nostro “lavoro”… quando “lavoriamo” bene per il Regno!

Lo vedo, lo sento quando ci ringraziate per una frase detta, un pensiero dettato dall’Alto condiviso durante un’omelia… oppure quando, ritrovandosi dopo tempo, ci dite che vi siamo mancati, che vi è mancata quella parte di noi che vi fa sentire più vicini Lui.
Tenete sempre nel cuore, nel vostro e ricordatelo al nostro, la gratuità dell’Amore che ci ha conquistato, consolato ed esortato.
Ricordateci di rimanere sempre fedeli al Signore!
Io ho scritto delle pagine, leggendo qua e la nella mia vita e nelle vostre, presto saranno pubblicate… ci sono però quelle di tutti i miei confratelli, tantissime pagine con voi, belle, anzi bellissime, ancora da scrivere, altre da leggere, ripassare!
Aiutateci a custodirle e a donarle, per altri vicini o lontani che hanno bisogno di essere esortati, consolati, quanti ancora non sanno cosa vuol dire Amare, quanti ancora non hanno conosciuto Dio Amore.


San Barnaba aiutaci tu!

In viaggio – Diario parte I

“Ti è mai capitato di addormentarti con un nodo in gola? Di avere qualcosa dentro e di non riuscire a tirarla fuori? Hai mai sentito forte come un vuoto che ti risucchia dentro, fino a sentirti davvero svuotato di ogni pensiero ed emozione?”.

“Cosa ti è successo? Raccontami pure…”.

“Ma io voglio sapere se ti sei mai trovato a stare male così, certo ti avrei raccontato pure… dimmi pure se sei stato male così anche tu…”.

Pensò tra se e disse: “Se dico no continuerà a vedermi come un modello troppo alto da raggiungere… se dico si capirà che sono fragile anche io, quanto lui o più di lui, in questo momento non abbiamo bisogno di cadere insieme…”.
Respirò e rispose. “Capita a volte ti perdere di vista ciò che è importante. Sta a noi decidere se è per un battito di ciglia o per un lungo sonno. A te cosa è capitato?”.
Nel fargli la domanda, mentre guardava oltre la finestra seguitava a sfregarsi le mani, la pelle secca aveva bisogno di una crema, ne aveva messa troppa, dettagli che metteva appositamente nel suo relazionarsi con gli altri, per mostrare il suo essere “imperfetto”.
Lui osservava le mani piene di crema, ancora molto bianche, stentava la pelle ad assorbirla per quanto ce ne era, le fissava sapendo che da tempo aveva adottato una tecnica di “imperfezione” agli occhi dei tanti; lui sapeva chi avesse davanti, lo faceva fare, sapendo che anche in quel gesto “imperfetto” traspariva l’armonia del Cosmo sempre presente.
Prima un dito, poi l’altro, il dorso, il palmo, una gestualità mai banale della quale rimanere colpiti e affascinati; nonostante ne fosse rapito, quasi ammaliato, trovò il coraggio necessario per raccontare quanto aveva dentro.

“È successo ieri sera, non era molto tardi, ero stanco e avevo deciso di dormire prima del tempo, prima che fosse notte inoltrata. Avevo pensieri come omini che muovono pistoni nella mia testa, andavano davvero veloci, poi c’è stato come un tuffo nel passato, altre storie di me, altre vite vissute, abbracci mai dati, baci sussurrati, parole che cadevano come pioggia dal cielo, visi e immagini di scene già interpretate senza mai vincere un premio… poi il buio. Il nulla. Come se all’improvviso tutto quello scorrere frenetico fosse giunto a un punto di arrivo nero. Oscuro. Non ho visto altro. Ho pensato che fossi andato indietro con il cuore e la mente, fino al momento in cui io ancora non ero nato. Ho temuto altro, non un viaggio indietro ma avanti nel tempo, portando con me quanto di prezioso e caro ho avuto in dono. Solo che ad un tratto non ho visto più nulla. Il buio, oscurità immensa nella quale pienamente immerso, ho sentito…”.

“Continua pure, cosa hai sentito?”. Le mani nel frattempo erano diventate meno bianche, lo sguardo era ben fisso non più perso nel vuoto, era concentrato su di un quadro pieno di fiori, piante sopra un tavola, all’ombra di un porticato.

“Ho sentito… dolore. Non ho pianto, non so perché non l’ho fatto, ma ho sentito dolore. Forte acuto, come se in quel buio avessi perso quanto di prezioso ho con me ora, la speranza…
Ho pianto perché ho sentito la solitudine, il vuoto degli affetti, della distanza e dell’incomprensione, l’urlo di chi aspetta un figlio tornare e sa che non tornerà più, il vento gelido che spazza il via le gemme spuntate incautamente… ho sentito il buio, come se lo avessi gustato o ancora di più abitato. Ho chiuso gli occhi per il sonno. E oggi sono qui a raccontarti questa storia, la mia angoscia, il mio deserto…”.

“Tutto qui?”. Gli sorrise, tocco gentile sulla labbra di follia e saggezza. “Tutto qui? Hai solo questo da raccontarmi? E hai preso del tempo per stare con me per raccontarmi queste visioni?”.

Sapeva che poteva trattarlo così, ancora un po’ veramente prima che esplodesse del tutto. La sua pazienza l’aveva messa già sottoposta a prove ben più ardue. Prese l’ultimo residuo di crema tra le mani ormai asciutte e lo spalmò sul naso del giovane allievo.

“Ben ti sta! Una macchia bianca sul tuo viso paonazzo! Lo sai che mi piace provare la tua pazienza!”.

“Si lo so! E sono venuto fin qui per raccontarti quanto avevo dentro! Certo che parlare con te… non mi aiuta certe volte molto! Non ci sei mai, non rispondi mai, non ti fai mai trovare, devo inseguirti sempre!”.

“E tu ora come stai? Ora che mi hai raccontato questa storia, l’angoscia del tuo deserto interiore, ora che hai il naso con un puntino bianco che va via via asciugandosi, ora come stai?”.

“Ora sto bene”.

“Si ora stai bene…”.

Il S.O.L.E. ormai era tramontato, il media-com della BridgeFour ne aveva appena dato annuncio. Il Solar Oriented Light Emission era stato uno dei suoi primi brevetti ceduto anche alle altre compagnie.
Lo accompagnò fino al suo alloggio, per accertarsi che quella notte prendesse anche una tisana di fiori di mariam.
La porta automatica si aprì con il suo badge universale, essere il capitano aveva anche i suoi vantaggi!
Si assicurò che tutto fosse in ordine, gli rifece il letto, sistemò alcuni abiti buttati sulla sedia.
Prese la tazza, riempita di acqua e di fiori di mariam, la scaldò con il convettore energetico del bagno.

“Su dai, bevi…”.

Dapprima sorseggiò piano, poi tracannò velocemente.

“Grazie per quello che fa per me capitano… mi domando il perché e preferisco non saperlo!”.

Donò un sorriso al volto del capitano, poi si mise sotto le coperte di quel letto appena rifatto.

“Grazia ancora…”.

“Non dire altro!”, tuonò sibillino il capitano.

La stanza era al buio, dallo spazio profondo, dai ponti dell’equipaggio, da nessuna parte… nessun rumore. Soltanto il battito di un cuore veloce, soltanto questo era percettibile.
Era sera, prima ancora che diventasse notte, il capitano si avvicinò, sollevando un lembo del lenzuolo caduto con più pieghe, fece un gesto per sistemarlo e con la mano, gli sfiorò il volto, una carezza, l’ultima di quella sera. “Ora puoi dormire…”.

“Si, ora posso dormire…”.

E lento, in una notte artificiale, uscì dall’alloggio, quella carezza leggera aveva reso anche i suoi passi leggeri…
Soltanto lui in quella notte era vero.

La Domenica delle Palme, delle Salme, del Salmo

Era il 1990 quando uscì l’album di Fabrizio De André “Le nuvole”.
Non ricordo se l’ascoltai in quel periodo o pochi anni dopo.
Non lo ricordo e non importa.

So che tra le tracce, tra i capolavori, c’è anche “La domenica delle salme”.

So anche che qualche giorno fa, durante un’omelia, anziché dire “Domenica delle Palme” ho detto per sbaglio “Domenica delle salme”.

Avevo in testa da qualche giorno le parole di questa canzone, un ricordo musicale alimentato dalle tante salme viste in tv… l’orrore della morte ti sembra lontano, poi senti che muoiono persone che conosci, parenti di amici, tutto sembra diverso.

Si, ci sono tante salme.
Ci sono anche le palme. La Settimana Santa che si apre ogni anno… le cose da preparare, processioni, chiese addobbate a festa, l’avvio dei giorni che ci portano al centro della vita dei credenti di coloro che credono che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, la Pasqua.

«Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?», chiedono così i discepoli all’interno del Vangelo di Matteo, al cap. 26.

Quest’anno non è soltanto “dove”, è anche “come”. Celebrare in assenza del Popolo. È tutto così diverso…

Per uno strano gioco di lettere, la “p” e la “s” in inglese abitano vicine nella parola “psalm”, ovvero salmo.

Gioco con le parole, con le lettere, gioco con la “Parola”.
Faccio caso come se da un lato la Domenica delle Palme ricorda l’ingresso di Gesù in Gerusalemme, dall’altro la Domenica della salme (al di là del significato della canzone) mi faccia ricordare che la morte del Giusto è necessaria. Dobbiamo vivere questo periodo, dovevamo passarci.

Scelgo di vivere questa Domenica come l’orante dei salmi… nel momento della prova invoca il Signore, sa che Dio lo può salvare, sa che Dio lo porta al largo, lontano dal pericolo, perché lo ama, Dio ama il povero che lo invoca.

Mi affido al Signore, affido voi tutti, so che il mio Signore è vivo, invoco e prego Dio perché l’umanità possa elevare elevare il grido di “vibrante protesta”.

Si, perché siamo chiamati a restare a casa e non siamo chiamati a restare in silenzio.
Muoiono oggi ancora tanti giusti, abbiamo dimenticato che Cristo è già morto per tutti?

Auguro a tutti, anche a me stesso, di vivere il senso vero dell’essere di Dio, in tutto e per tutto,

essere veramente liberi perché liberati dalla morte con la Pasqua di Risurrezione di Cristo Gesù Nostro Signore!

Dio vi benedica

Buona Settimana Santa!

don Massimiliano

C’era un deserto una volta

La strada che mi portava a scuola, almeno fin quando andavo alle scuole elementari e medie, era tutt’altro che un giardino. Certo, erano gli anni 80, viale Michelangelo aveva ancora il suo “fascino” di periferia della città, non ricordo se era illuminato di giorno, di giorno però ricordo tanti particolari.

Il viale lungo, gli alberi giovani, qualche distributore di carburante qui e la, null’altro. Fruttivendoli? Stigghiolari? Solo quello del pane di Monreale, all’inizio del viale, ben posizionato, “esercente” storico dei giorni festivi.

Spostandosi dalle case di via Besio, andando sempre più giù, verso viale Lazio, potevi imboccare via Uditore e in un battibaleno ero a scuola! Tralascio i ricordi della scuola elementare e media, almeno per ora.

Ricordo che prima di girare per via Uditore, dopo l’ingresso di un grande condominio, c’era un grande giardino coltivato. Grande, molto grande, nella mia percezione di bambino era davvero immenso.

Ricordo gli uomini che vi lavoravano, scene di vita campestre prestate ai quadri che avrei visto o alle foto che avrei scattato una ventina d’anni dopo.

Ricordo il colore della terra, le schiene curve, il verde fogliame delle colture.

Ricordo che poi una parte di quel giardino venne “convertito” a campi di calcetto, erano già gli anni delle scuole medie. Resisteva in parte un pezzo di terra. Ero più grande io, il terreno rimasto era però molto più piccolo.

Non so quanti anni potè resistere. Pure di quel pezzo di terra più piccolo ne ricordo il colore e le schieve curve. Un avamposto di resistenza del lavoro agricolo, fatto di mani callose, fronti corrugate, paziente lavoro e tante attese.

Poi non ci fu più. Anche l’ultimo pezzo di terra era sparito. Al suo posto abbondante cemento per dare “vita” ad un parcheggio. Che strani gli uomini… dare poco valore ai frutti della terra, darne molto di più ai mezzi di trasporto su terra. E sai com’è, chi ha una macchina, chi ne ha due, chi il camion, chi la roulotte, chi il camper… non c’è posto, bisogna fare un parcheggio privato!

Non so quanto abbia resistito. La desolazione nella quale è immerso dura già da troppo tempo. Se non avessi avuto i ricordi della mia infanzia avrei potuto giurare… “è sempre stato così!”.

Io invece ricordo tutto, così di ogni cosa, ricordo tutto: la terra, il cemento, il deserto.

Deserto non si nasce. Deserto si diventa. Ho frugato tra i cassetti della memoria per dire una cosa che forse mi tocca da vicino nel tempo di Quaresima.

“Stai attento… il deserto ti riguarda, stai attento a non lasciarti affascinare dalla solitudine, stai attento al cedere alle lusinghe e alla tentazioni che ti si presenteranno!

Il deserto è un tempo, è uno spazio. Stai attento, deserto non si nasce, deserto si diventa…”.

Bisogna porre attenzione ai luoghi in cui viviamo, a non trasformarli in luoghi deserti.

Tanto cemento, tante piante selvatiche cresciute a casaccio, tutto abbandonato.

Rimango però convinto che anche il più arido dei deserti può fiorire, può portare frutti.

Fiorisce il deserto, fiorisce la vita, scompare il deserto, se ti metti in cammino puoi lasciartelo alle spalle e finalmente vivere…

La rottamazione di un albero di natale

Sono rientrato in quella stanza dopo qualche mese, un paio di mesi, i giorni volati via, pagine strappate dal calendario.

Alcuni velocemente vissuti, altri tristemente, altri ancora pacatamente.

Ricordavo la cucina grande, grandissima, con tutti i suoi mobili ed accessori, poco al di là del muretto il tavolo per consumare le pietanze, sullo sfondo il camino, più a sinistra il divano ben piazzato davanti alla tv, il tappeto per i giochi dei bambini messo in quello spazio al centro, l’appendipanni… si, ricordavo tutto.

Poi ho ricordato altro, tra un boccone e un altro, tra una parola e un’altra.

Era messo li, tra il camino e la finestra, in un angolo tra le murature centrali della casa, luci colorate, palle e palline, fili argentati, nastrini… era li, io lo ricordo così, magari non propriamente così, l’albero di natale era messo li, guardava gli ospiti e i padroni di casa da un punto di vista preferenziale, vedeva tutto, sentiva tutto, respirava tutto.

Oh si che respirava! Io lo ricordo vivo quell’albero!

Bello, alto, maestoso, un colore verde così naturale! Non ne ricordo l’odore, la casa era impregnata di ben altri odori tra i profumi del cibo e quelli dei commensali.

Si, lo ricordo vivo.

Ieri non l’ho visto, non l’ho più visto. Io però lo ricordo ancora, così lo ricordo. Mi sono chiesto a questo punto che fine abbia fatto… dov’è finito l’albero di natale? Conservato? Messo a dimora nel terreno? Era vivo, (lo so sarò pedante ma io lo ricordo così pertanto non sarà stato riposto in cantina, in soffitta, in garage…), quindi non sarà stato conservato. Mi sono dato una risposta questa mattina. L’albero è stato rottamato.

Voi direte… che pensieri ti vengono fuori! La rottamazione di un albero di natale! Come se non avessi altre cose a cui pensare, da fare, come se non ci fosse altro di serio sul quale scrivere, confrontarsi, rimanere in un serrato scambio dialettico per elevare ancor di più l’ingegno e il cuore.

Bah! Un albero rottamato.

Io ho pensato a quell’albero da quando sono entrato in quella stanza.

È stata la prima cosa che ho pensato.

Non l’ho visto, non l’ho trovato. Non c’era, ogni volta che guardavo in quella direzione, li dov’era stato collocato, lo ritrovavo ancora e lo sentivo, come se fosse messo lì a guardarmi.

A questo punto allora traggo le mie conclusioni, le condivido con voi.

Io non so dove sia quell’albero, non voglio nemmeno chiederlo… mi basta dire a me stesso che è stato rottamato. Hanno già dato un albero nuovo per il prossimo anno.

Però mi fermo qui. Non vorrei che quanti leggono ora queste parole possano pensare che con la stessa facilità possano rottamarsi, persone, ricordi, sentimenti…

Posso però dirvi cosa penso, cosa è per me “rottamarsi”.

Amarsi con una rotta ben precisa.

Una rotta, una direzione.

Un senso.

Rottamarsi. Dare senso ogni giorno all’amore.

Una foglia…

Una foglia, appesa ad un albero, ai continui passaggi del vento, piccoli tocchi leggeri, sentiva crescere un senso di libertà, qualcosa acquisito nel tempo.
Un giorno, stanca del suo continuo passar senza mai fermarsi, disse al vento: “Spero presto di poter venir via con te… si, portami via con te!”.
“Non posso farlo ora, non so nemmeno quando potrò farlo…”, rispose il vento, “trascorro molto tempo sospeso sopra la terra e occupando il cielo, ma non so se potrò mai portarti via con me!”.
“Peccato, non sai quanto mi dispiace…”, rispose in modo sconsolato la foglia.
Poi però, sul finire dell’estate, la foglia aveva già cambiato colore, il verde aveva ceduto il passo a delle chiazze con tinte più chiare, come se svanissero i colori con tutta la foglia.
Si presentò il vento, ancora una volta a lambirla, tocco leggero, come una piuma…
“Portami via con te…”, disse ancora una volta la foglia, flebile voce che sapeva di tempo passato forse troppo in fretta.
“Portami via…”, riprese ancora.


Poi il silenzio.


Per un attimo il vento cessò.
La foglia fece un volo a caduta libera, leggera era lei non il vento, non si udiva muoversi nemmeno un capello…
Toccò terra e cominciò ad accartocciarsi.
E disse: “Se non vuoi o non puoi portarmi via con te, ti stringerò sempre più forte a me…”.

Il vento allora andò via e nessuno vide mai verso dove…

Memorie del tempo verde

“Ciao hai chiamato?”, disse una voce esitante.

“Si, avevo chiamato, era da tempo che provavo a farlo!”, anche quest’altra voce non era da meno.

“Beh si, scusa, non avevo capito, se avessi chiamato tu o se ti avessi chiamato io per sbaglio…”.

“Ah si, per sbaglio… non chiami mai…”.

Si creò un momento di imbarazzante silenzio, altre frasi di circostanza, brevi, brevissime, poi i saluti, chiudendo così la video chiamata.


Il pannello di controllo emise uno strano rumore, come un ronzio, seguito da un suono metallico, poi si accese anche la spia del controllo emozionale, lampeggiando freneticamente.

Il dottor Steven si accorse che intorno agli occhi dell’androide CP567 stavano formandosi delle lacrime.
“Bene, direi che quasi ci siamo! Questi ricordi che stiamo caricando in memoria lavorano sulla personalità, sulle emozioni e sui sentimenti… Sembra quasi che…”.

“Che cosa? Dottor Steven non vorrei che questo modello risultasse più umano degli umani!”, chiosó Fredrik, “Al momento non possiamo permetterci altri errori per questo progetto, ho investito già abbastanza soldi e mi aspetto presto un ottimo profitto!”.

“Fredrik, se non fosse stato cosi avido e attaccato al denaro, credo che questo progetto sarebbe stato pronto molto prima! Le ho sempre chiesto di sognare in grande, di aspettare e pazientare, lavorando con cura e soprattutto educando anche con il cuore, sebbene possa essere una macchina, un androide, CP567 sarà in grado di sognare, ma non faccia pressioni tirando in ballo i soldi!”.

“Dottor Steven… Faccia come le pare e piace, vorrà dire che anche CP567 nel suo realismo sognerà pecore, pecore elettriche però…”.

30anni

Restiamo ancora insieme a parlare
come se nulla fosse mai successo.

Restiamo seduti qua,
tu prendi un libro,
pieno di pagine bianche,
io porto righe già scritte.

Ascolterò la tua voce mentre le legge,
parola dopo parola senza mai stancarmi,
ti prometto che non distoglieró mai lo sguardo…

(dal libro e da te)

Siediti qui, vicino a me.
Sono passati giorni, mesi, anni.
Siediti qui. Anche in silenzio.

Aiutami a scrivere le storie che non ho mai raccontato.
Aiutami, silenziosamente, a parlarne ancora…