Te perqafoj me shume dashuri… impressioni d’Albania 2009

Puoi chiederti quale sia la più mirabile manifestazione dell’Amore…
La domanda ti è lecita porla ma la risposta è più banale di quanto possa pensare.
Essere manifestazione dell’Amore è essere semplicemente se stessi, con i propri limiti le proprie paure: d’altra parte non possiamo di certo affermare la nostra superiorità, noi essere imperfetti pensiamo di far abitare in noi l’Essere Perfetto e di poterlo contenere interamente.
Cresce così la voglia di dire a tutti gli altri chi siamo, cosa abbiamo dentro.
Nel nostro caso diventa il dire agli altri Chi abbiamo dentro.
Lo abbiamo incontrato e non possiamo fare a meno di dire che lo abbiamo incontrato.
Anzi, il suo invito personale, quello rivolto ad ognuno di noi, con un suo sguardo incrociato per caso, lo dobbiamo tradurre in un immediato noi. Il suo invito per me è invece per noi.
Per tutti quanti noi. Lui sta alla porta e bussa. Da molto tempo ormai continua a bussare, con insistenza ma senza violenza, con sicurezza, sa che siamo in casa, ma senza abusare della nostra libertà, senza condizionare la nostra risposta. Siamo in casa, non siamo a casa… la sua, siamo nelle nostre case. Barricati, trincerati, arroccati nei nostri alloggi, fuggiamo la realtà che ci coinvolge e ci travolge.
 
Lui è là dietro  … bussa.
 
È pronto ad entrare in casa, solo se siamo noi ad invitarlo. Una volta entrato stiamo certi che non vorremo mai più lasciarlo andare via: prima però deve entrare. Sedere a tavola con noi, mangiare con noi, farsi riconoscere nello spezzare il pane. Lo ha fatto già con altre persone, lo sappiamo da alcuni testimoni… Ce ne hanno parlato altre volte. Ma Lui è la… lasciamolo entrare.
Entra per fare festa! Siamo noi la sua festa, il suo tesoro più prezioso. Ha lasciato qualcosa di molto prezioso per acquistare noi, ha lasciato la sua vita, l’ha donata un dono fatto a noi, per arricchirci. La sua morte, un dono prezioso ai nostri occhi ci ha reso ricchi del suo amore, il suo Amore.
 
In fondo cosa chiedi anche Tu?
Chiedi di abitare nella mia casa, di passare lunghi, lunghissimi anni sereni, nella tranquillità del tuo vivere che diventa il mio, la Tua vita che si fonde con la mia fino a fondersi e confondersi… solidificando e rendendo saldo me.
Occhi dentro gli occhi, mani nelle mani, cuore a cuore…
Chiedi che anch’io possa avere la tua stessa volontà, quella di amare ed essere amato, la stessa volontà che nella sua dipendenza ci rende liberi.
 
Nel buio di una piccola stanza, quella che mi ha accolto ancora una volta a Bilisht, con pochi riferimenti alla tua vita non hai altro di meglio da fare che parlare con te stesso… non parlo da solo, parlo con Te, con tutte le persone che oggi hai messo sul mio cammino che sanno di Te. Dei tuoi occhi, del tuo viso, tutti quelli che si sono persi tra le pieghe del tuo cuore, quelli che ora dormono e non vogliono essere più svegliati perché tra le tue braccia stanno bene, restano ormai nel Bene.
 
Guardo e riguardo le foto, tra i volti dei bambini sembra mancare qualcosa.
Dimmi Tu cosa manca loro: vedo forse qualcosa che non c’è? O forse non sono in grado di riconoscere piccoli segni, piccolissimi tracce di Te in loro?
Tu sei in loro. Dimmi perché sono così tristi, dimmi perché sono diversi da me. Molto più probabilmente ancora una volta hai ragione Tu… sono forse io che me ne vado triste sapendo che tu sei l’unico tesoro di cui ho realmente bisogno?
È lontano il mio cuore da te, tanto lontano che qualsiasi uomo tu metti sul mio cammino per raggiungerti io lo faccio oggetto di scimmiottamento, di scherno e di risa.
Dammi la forza di cambiare, la forza di rialzarmi una volta caduto. La forza di ascoltare Te.
Di vivere Te.
 
Chiedersi dove vai, sempre in giro per il mondo, in un continuo peregrinare o andirivieni… prendere una valigia riempirla di emozioni, di speranza, chiuderla per bene per non lasciare fuggire niente… Chiuderla stretta con un nodo fatto con uno spago che sa di casa.
 
E tornare a casa: passati i giorni e volati via come pensieri leggeri, si torna in famiglia, con un vissuto pesante che sa di realtà cucita addosso.
Un abito che difficilmente metteremo via… un abito indossato come un abbraccio dato con molto amore.

Dove sta la normalità?

Questa è la sintesi, piccola riflessione, di una splendida settimana vissuta con Sergio, Giuseppe E. e Dario, presso il “Piccolo Cottolengo” del don Orione di Ercolano…

 
L’esperienza del servizio che accende e infiamma il cuore può risultare onerosa da un punto di vista dell’equilibrio interiore. Magari aiuta a ristabilirlo.
Onerosa esperienza perché costa. Forse meglio ancora gravosa perché pesa sulle nostre spalle, grondante di lacrime interiori. Appena accennate negli occhi.
La domanda di senso diventa se tutto questo che facciamo, la nostra vita che va avanti in modo ripetitivo, abbia davvero un senso. Forse non lo ha. Ma voglio trovarlo un senso a tutto questo.
 
Ha un senso? O bisogna cercarlo da tutt’altra parte? Tra gli occhi e le mani? Tra i sorrisi… nella vita normale di chi è definito da noi anormale, perché è un giovane essere umano intrappolato nel corpo di un adulto… C’è chi ti sorride, chi vuole un bacio, chi vuole solo attenzione, c’è chi è chiuso nel suo mondo, si contorce, sta in silenzio… rimane con se stesso e si fa compagnia.
Nel frattempo qua fuori operai a lavoro risistemano la facciata dell’edificio. Lo fanno bello e accogliente per quelle persone che vi abitano, vi lavorano, per quelli che vengono in visita.
 
Accoglienza. È una parola straordinaria. È la nostra capacità di ritirare parti di noi per far entrare il resto del mondo. Pian pianino, poco alla volta possiamo essere capaci di ritirarci e dare posto nella nostra vita a tutti. Siamo in grado di accogliere anche Dio in noi. È l’evento più straordinario della parola straordinaria che è l’accoglienza. Noi esseri finiti riusciamo ad accogliere in noi l’Infinito.
Qualcuno che non ci conosceva ma che ci aspettava ha accolto lo sconosciuto.
 
Quanti anni hai? Trentatre… hai i miei stessi anni. Ma non è così, ne hai di meno.
Forse ne hai quattordici, forse sette, non di più. Tu invece ne hai tre. E tu ancora quattro.
Hanno anni diversi. “Imprigionati” in corpi adulti, esseri umani bambini, cresciuti e mai diventati grandi. Noi invece?
Età che è solo un numero, cosa è?
Questa la chiamano vita.
Li chiamano corpo di Cristo, lo sono davvero.
Lo siamo anche noi credenti che ci accostiamo al banchetto eucaristico, lo siamo, diciamo di esserlo ogni qual volta rispondiamo “Amen” all’affermazione “Il corpo di Cristo”.
È vita che riserva sorprese che vanno al di là della nostra immaginazione, che travalicano i nostri comuni limiti: l’aiutarsi reciprocamente, il debole che aiuta quello che è ancora più debole, gli da’ da mangiare, lo accompagna su e giù per le scale, prendendolo per la mano, spinge la sua sedia a rotelle lungo i viali… certe scene scaldano il cuore. Avendolo.
A loro basta poco, davvero molto poco, bastano una chitarra, un canto, sorrisi e baci e abbracci. Vita chiesta in dono, un regalo poco accetto da parte di chi non si aspettava questo trattamento di riguardo capace di migliorare quella che pensiamo essere solo qualità di vita. Ci ridona invece l’essenza della nostra umanità.
Sofferenza che si intreccia con gli affanni e la gioia di un quotidiano vivere che sa di pane sudato, pane spezzato sotto forma di uomini e donne che nell’eterno andare dei giorni combatte per un mondo nuovo. Per la propria esistenza.
Comincia proprio da qui, da noi, dal nostro essere, il nostro scoprirsi veramente uomini.
Figli e fratelli. Amanti e amati.
 
Lei mi ricorda continuamente che devo morire… si lo so già… prima o poi moriremo tutti.
Lui invece chiede continuamente che ore sono. Quasi ogni cinque minuti la stessa identica domanda… che ore sono?
Non più una risposta fatta di numeri che si susseguono nel tempo… no, solo laconicamente “è tardi”…
 
Vedere la vita con i propri occhi o attraverso delle lenti.
Per correggere alcuni difetti della nostra visione.
Cambiare semplicemente punto di vista, prospettiva.
E continuare a camminare, a due a due, come discepoli mandati per le strade del mondo…

Partenza…

Sa di valigia questa estate,
sa di amici ritrovati, altri un po’ persi,
messi qua e la tra una maglietta d un’altra.
Sa di un calzino che non trovo più,
sa di un biglietto pronto, sempre.
 
Sa di sguardi, di sorrisi,
sa di affanni e di malattie…
Sa dei miei occhi che un po’ si confondono con i tuoi
altre volte si immergono nei Tuoi.
 
E ritorno ancora una volta,
poi un’altra ancora e poi ancora e ancora…
Per ritrovarmi in Te.

Sing… for the Love you bring…

  
L’Amore va cantato, sempre, con gioia!
È doveroso un tributo, un riconoscimento all’Amore, con la nostra vita, con la nostra voce.
Semplicemente si inizi a cantare e non si smetta più. E si inizi a gioire dal di dentro.
 
L’Amore va accolto, va rispettato, va nutrito, bisogna lasciarlo crescere fino a fargli raggiungere le vette più alte…
Anche quando si soffre per Amore, perché non è corrisposto, perché non riusciamo ad amare per come vorremmo… anche quando improvvisamente, così come è arrivato, va via…
Ma se è l’Amore ad entrare nella nostra vita nulla di tutto questo può accadere, sono solo delle nostre illusioni:
possiamo non vederlo più, possiamo non sentirlo più… ma Lui c’è, è sempre li, dove è stato da sempre, continua ad esserci.
E lo rincontri per caso, in una splendida manifestazione dell’Amore, in una sua epifania che è anche il sorriso di un uomo o di una donna: bisogna cogliere questi aspetti.
Improvvisi, piccoli dolci sorrisi… Durano poco: anche 15 secondi bastano per avere un dolce sorriso che sa di Amore!
Persone che sono strumenti inconsapevoli dell’Amore.
Non puoi che accogliere l’Amore, in te, poi mostrarlo a tutti.
Non puoi che accogliere la Luce, spazzando via le Tenebre dentro le quali siamo così a nostro agio.
Accogliere la Luce che indica l’unica via che porta all’Amore.

23 maggio 2009, accolito!

La Parola che ascoltiamo è la stessa. L’Eucarestia che celebriamo è la stessa.

Partecipiamo tutti insieme allo stesso mistero di Cristo.

I risultati sono differenti. Dobbiamo farne un dramma?

Non credo.

Ma dobbiamo però interrogarci sul perché. Inevitabilmente dobbiamo farlo. Urge una nostra riflessione, non una mia riflessione, ma una nostra. Nel nostro essere ecclesiale, nel nostro essere Chiesa deve nascere spontaneamente la domanda… si deve tendere ad una risposta.

Tale risposta non può che essere l’Amore.

 

L’unica risposta è l’Amore. Per tutti. E sottolineo il tutti. Tutti.

Non è più un gioco, uno scherzo, dire tutti per poi essere sempre meno della metà nelle nostre assemblee di… Poco più della metà, poco meno dell’essere tutti quanti… difficilmente o forse ben più verosimilmente, siamo tutti. Eppure siamo tutti chiamati. Tutti chiamati, tutti eletti… tutti pronti a riscoprire e a rimodellare se stessi per ridonarsi agli altri.

Io non so quale contraddizione possano vivere gli altri dentro il loro cuore, posso dire della mia, posso dire degli sforzi che compio per superare me stesso, per superare ancora una volta il limite naturale, creaturale, limite che è posto per essere superato e non per essere guardato senza poter fare nulla… Posso dire di me… ma mi interrogo sugli altri. Mi interrogo sul perché ad un certo punto della storia vocazionale si arresta per un attimo, più o meno lungo, la distribuzione della misericordia che è data da Colui che è Misericordia. Amiamo Dio. Non amiamo i fratelli.

Se è il Pane che ci unisce, se è la Parola che ci unisce, traducendo o trasponendo negli ambiti più spiccioli della relazioni comunitarie, il Pane e la Parola ridiventano nuovamente pane e parola… impasto di farina, acqua e lievito cotto nel forno, unione di suoni articolati tale da veicolare messaggi.

Mi domando se posso pure io diventare testimone all’inverso della Misericordia. Se non faccio memoria delle volte che ho sperimentato la Sua Misericordia non posso dire di operare con questa: è un esercizio utile, difficile, che impegna tutta la mia vita. Impegna la nostra vita. Se dico “io” devo pensare “irrimediabilmente” ad un “noi”. Irrimediabile perché la viviamo come una catastrofe l’avere gente accanto che ci accompagna, ci segue o ci precede durante questi giorni… Giorni randagi? Che si accontentato di poco? Che diffidano di molti? Che si affannano nella ricerca di un po’ di cibo? Giorni in cui siamo presi a calci dalla nostra stessa indifferenza? Giorni che si ripresentano ancora una volta? Dove portano? Dove vanno? Dove ci conducono?

 

Giorni in cui non lasciamo operare ne la Parola, ne il Pane. Giorni in cui dimentichiamo di essere sotto la costante operazione di Colui che opera… che taglia, separa il nostro uomo vecchio dal nostro uomo nuovo. Operare. Un taglio. Dare un taglio, sanare la ferita e ripartire.

Le nostre ferite invece non le lasciamo guarire. Operiamo su noi stessi, non lasciamo che sia Lui a farlo. Allora tagliamo e pensiamo che siamo poi noi a curare e a sanare nel tempo… Forse. Si, forse con il tempo, forse passeranno anni, mesi… passerà molto tempo e poi tornerò ad amare. Ma non come prima, almeno una parvenza di rapporto, quello si… ma non subito bisogna aspettare.

Aspettare.

 

Non ho il tempo di aspettare. Non ho una vita abbastanza lunga per aspettare. Non che stia per morire tra poco, non voglio dire questo. Ma è un dovere da espletare con urgenza, la più rapida delle cose da fare…

Con il nostro sforzo vincere le resistenze, vincere le seduzioni del male che ci chiude all’Amore. Lo nasconde alla nostra vista. Diventiamo ciechi… per nasconderci all’Amore.

 

La riflessione di stamattina termina qua… continua dopo…

Dopo… chissà quando… barba, doccia, cambio e via!

 

 A presto e grazie di tutto!

 

PS. “Auguri agli ammessi, ai lettori e naturalmente agli accoliti!”

Tutti…

omnes, all, tout, alle, όλα, të gjithë,  全部, すべての, wszyscy, todos, все, todo , alla…

Alleluia!

Risuona l’alleluia pasquale dopo diversi giorni senza… Da questa notte con quel canto alleluiatico tutto assume una nuova coloritura…
Se si fermasse solo all’esteriorità, con le intemperie andrebbe via dopo pochi mesi… ma è un canto che dura da secoli.
Risuona ancora.
 
Un canto che parte dal cuore dell’uomo e arriva fino a Dio, lo stesso Dio che si è incarnato, che è stato crocifisso, che è risuscitato.
 
Dimmi, o Signore, qual potrebbe essere il più sincero degli auguri per l’uomo sfiduciato che vaga nelle tenebre della propria solitudine?
Forse ancora una volta il vivere e il morire con Te, certi della speranza che non delude, la risurrezione nell’ultimo giorno.
Lo stare insieme a Te. Per sempre.
 
Non ci resta che vivere nell’attesa, una tensione continua nel timore e nel tremore, un’attesa che consuma dal di dentro…
Attesa che sa di compimento, che sa di vita che ancora una volta vediamo concreta e manifesta nelle gioie e nei dolori quotidiani…
 
Un’attesa che sa di pietra lasciata scivolare da un sepolcro, apparentemente vuoto, ma in realtà pieno della Tua potenza Signore Gesù Cristo!
 
Santa Pasqua a voi tutti!
 
TUTTI
 
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