Domande definite, risposte abbozzate…

Sono degli appunti presi, sparsi almeno in testa, sul foglio sembrano avere una certa connessione logica. Sarà così poi? Spero di si, perché proprio della speranza volevo parlare, proprio dalla speranza posso iniziare a parlare partendo da un esempio, alla speranza posso tornare, pensandola come risposta alle tante domande, le tue, le mie.
Tempo fa, durante un’operazione di pulizia straordinaria del piccolo giardino di casa mia, mi sono ritrovato a dover tagliare una pianta, enorme, ma ormai troppo grande per lo spazio che le avevamo riservato. Tolta via una parte abbondante, avevo pensato di suddividerla in parti più piccole, pensando che in questo modo avrebbero trovato una più facile collocazione, in un giardino, in un vaso, o anche tra i rifiuti. Così avvenne… dopo un po’ di tempo che era stata abbandonata nel giardino decisi di suddividerla distribuendola così: una parte la prese il mio vicino di casa, una parte la piantai in un vaso, una parte la gettai via, sperando che le parti trapiantate potessero tornare a verdeggiare.
Non so se sia cresciuta o meno quella del vicino ma ero in preoccupazione per la pianta mia, messa a dimora in un vaso molto grande: cadde la prima foglia, cadde la seconda, poi anche la terza e così via, fino a rimanere un tronco apparentemente “morto” infilzato nella terra. Ho aspettato, pazientemente, mese dopo mese, innaffiandola con cura, cercando sempre un segno di ripresa ma ahimè non ne ho visto per mesi e mesi… Poi improvviso lo stupore, la meraviglia per tre nuove foglie, ora quattro, che ho visto spuntare da un giorno all’altro… è questa forse la speranza? Il nostro saper attendere? Restare in silenzio ad aspettare che la “natura” faccia il suo corso, non rinunciando alle cure speciali che possiamo dare di supporto?
Poi ho pensato ad un arco, teso, tra le due estremità c’è un filo sottile, quasi invisibile che vibra quando noi incontriamo le altre persone, capta emozioni che a noi rimangono ignote, emozioni che poi sentiamo crescere dentro, risuonare in noi stessi. Quel pezzo di legno, arcuato lo chiamo speranza, quel filo sottile lo chiamo amore. Un arco completo, pronto da usare, tendere e poi rilasciare le frecce, queste naturalmente le dobbiamo mettere noi, sono quelle che “lanciamo” verso gli altri, quando gli andiamo incontro, quando siamo con loro, quando viviamo con loro… forse quelle frecce hanno un nome, vettori di relazione… un bel nome, non credete?
Un filo sottile chiamato amore, teso sempre al massimo, rilasciando una freccia, un vettore di relazione, un corda sospesa tra due estremità della stessa speranza, quella di andare incontro all’altro, di colpirlo, lasciando un segno visibile sul suo tessuto esterno, il tessuto della sua relazionalità con me, con l’io diverso dal tu. Una freccia che viene scoccata, con una sua precisa traiettoria, velocità. Dritta fino al centro del nostro obiettivo.
Speranza, un arco forgiato non fa mani d’uomo ma che ci è stato dato in dono. La Speranza che non muore mai, che non delude, che riempie di silenzio l’infinito tempo di attesa prima del rilascio di quel vettore. Amore, un filo sottile che mai si spezza, per quanto forti possiamo essere noi, non si spezza.
Speranza, amore, Amore e Speranza: quante volte ci siamo messi davanti ad un problema pensando che ci fosse il risultato sbagliato sul libro? Controllando e ricontrollando i calcoli, abbiamo pensato di non aver sbagliato, che tutto fosse giusto, che se ci fosse chi sbagliava quello era il libro… ci è mai capitato? Ce ne è voluto per me tempo fintanto che diventassi “padrone” dei numeri, del calcolo differenziale e delle somme di elementi infiniti, tempo che ora sembra essere “inutile” data la mia attuale occupazione, so bene che non è così. Alla fin fine tutta quella matematica mi ha portato a pensare in termini di infinitesimi, gli uomini, infiniti, Dio. alla fine quel tendere ad infinito è stato un periodico ricondurmi al Divino, all’Unico e Trino Signore.
Poi sono cominciate le domande. E li sono finite le risposte.
Quali risposte cerchiamo dalla nostra vita? O forse nella nostra vita? Cosa rimane delle nostre sicurezze quando ci imbattiamo in una risposta che non arriva mai? Pensiamo forse alla non buona educazione del nostro interlocutore? O forse alla fine ci abbandoniamo in un abbraccio nel mare di Speranza in cui ci accorgiamo solo all’ultimo di navigare? È forse questo quello che facciamo? O pensiamo che la Speranza sia del tutto fuori dal nostro orizzonte?
Domande e ancora domande, Francesca mi rimprovera se faccio ancora domande, lei vuole solo risposte. Pensa che io abbia domande e con queste, all’interno di una busta, possa trovare anche le risposte da darle. Risposte che in realtà non ho, perché ogni qual volta mi ritrovo ad essere “vicino” ad una di queste, subito, immediatamente, sono raggiunto da domande ausiliari, come se rispondessero, o cercassero di rispondere alla precedente domanda… così, continuando, in un processo a cascata… in tutto procedimento l’unica risposta che posso dare è l’unica che credo fermamente essere l’unica possibile. La risposta è l’amore. La risposta è l’Amore.
Non è un tappabuchi. È l’Amore, la Speranza che è una certezza. Per noi cristiani deve essere così. Deve. Siamo chiamati a renderne testimonianza, sempre.
Testimoni in tutto: nella nostra vita personale, in quella pubblica, negli affetti, nelle amicizie,nella vita che viviamo ogni giorno. Negli scontri quotidiani, quando cerchiamo le nostre risposte, quando aiutiamo gli altri a cercarle… sempre. Raccolti in un silenzio che non è carico di parole familiari, un silenzio che è invece ricco di parole che non conosciamo, che non vogliamo conoscere, le parole che ci invitano ad amare, a perdonare, a convertirci, cose da fare un infinito numero di volte.
Ma noi non arriviamo a contare oltre venti, altro che settanta volte sette, abbiamo solo due mani, due piedi, venti dita in tutto…

Un tascapane…

La nostra umanità è pesante. È fatta di carne. È terrena. È tremendamente pesante. Fintanto siamo noi a “costruirci” un abito pesante, la cosa potrebbe anche stare bene. Molte volte, ahimè, sono gli altri a regalarci i loro accessori: un cappello, dei guanti, una sciarpa, fino a completare la nostra veste. Forse fino a diventare dei pupazzi goffi, ripieni di vestiti dismessi, laceri per il troppo uso nella nostra vita.

Altro? C’è sempre dell’altro. C’è Altro e altro. Uno è il termine, l’obiettivo della nostra vita, il termine fisso, il valore asintotico della nostra esperienza che trascende nella vita del mondo che verrà: Uno, Bene, Vero.

L’altro, coi piedi per terra è il nostro compagno di viaggio, ne abbiamo sempre uno dietro, molte volte accanto, poche volte davanti. Ma è quando lo abbiamo accanto che non riusciamo a vederlo, si muove non dei passi cadenzati con i nostri, uno dopo l’altro, arranca con noi in salita, scatta in discesa, si riposa lungo terra piana. Ma non lo vediamo. Ma è li. A volte li scegliamo noi, altre capitano per caso: ma anche quando li scegliamo noi è come se non li avessimo scelti noi, ce li troviamo accanto e pensiamo sia bello averli scelti da noi, ma non è così. Scegliamo qualcuno che poi in realtà non è chi pensiamo aprioristicamente possa essere. Perché alla fine non lo pensiamo come “altro” ma, semplicemente come un io, un altro io.

Allora… svuotiamo le nostre sacche, il tascapane che ci portiamo dietro, senza marca, un semplice tascapane di tela: frugando, frugando troviamo solo delle briciole, piccole briciole insignificanti. Piccole briciole come i cinque pani che aveva nella borsa il ragazzo generoso che li offre insieme ai due pesci. Diventa così testimone coraggiosa di una generosità che dovrebbe essere propria di ognuno di noi. Offre tutto quello che ha. Offre. Non chiede null’altro in cambio. Offre generosamente. Cosa riceve in cambio? Una generosità generosa, dodici ceste piene di “avanzi”, da dare ancora a chi avrà fame.

E se cercassimo anche noi nel nostro tascapane? Cosa verrebbe fuori? Cosa si potrebbe tirare fuori? Se non abbiamo briciole, almeno che esca fuori la nostra preghiera, semplice, pura: basterebbe a muovere una montagna. Senza grandi parole ma solo vestita umiltà e verità, due ottimi fertilizzanti per la nostra fede. E allora magari cementiamo rapporti, tessiamo tele per il nostro tascapane, facciamo tante e tante altre bellissime iniziative ed alla fine che facciamo? Non ci accorgiamo delle piccole briciole cha abbiamo, cerchiamo dei pani più grandi per sfamarci, non pensando che piccole briciole sfamano grandi folle di persone. Non accorgersi del bene che ci fanno le persone, il bene che è in ognuno di noi, vedendo solo quelle volte in cui l’amore che noi diamo non è corrisposto da loro, e su questo puntare il dito. Possiamo davvero vivere di poco, un effetto dirompente di grazia nella nostra vita solo se crediamo realmente. Un po’ come credere che in un pezzo di pane troviamo realmente, il Corpo di Gesù Cristo. Crediamo davvero che sia Lui? O pensiamo che è un pezzo di ostia che poi si chiama Gesù? Cosa anima la nostra partecipazione alle liturgie? La routine?

Ed il Padre nostro che recitiamo… quanto lo sentiamo “nostro”? Non basteranno incontri, raduni o serate allegre tra amici per farci conoscere realmente chi siamo noi davanti al Signore: rischiamo solo di cavalcare delle onde emozionali, fatte di sensazioni, immagini, suoni, parole e non bisogna essere dei fisici per dire che un’onda si frange sugli scogli dissipando la sua energia. Cosa rimane dopo, solo l’erosione delle coste? Stranamente l’onda che dobbiamo cavalcare ha ben poco a vedere con la forma di un’onda… è rettilinea, cresce sempre, fino ad arrivare all’Infinito.

Poi ti accorgi che sono quasi le 20. Avere fame. Avere sete. Preparare da mangiare.

Anche se il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda…

Ritiro finito…

Ok, ok, tutto finito… le prossime suggestioni tratte dal ritiro arriveranno prossimamente… ma ora devo andare!
 
a presto!

“Causa” ritiro…

… starò via per una settimana… non angustiatevi, non cercatemi, non state in pensiero, etc etc
 
Tornerò presto!
 
No, davvero!
 
Nel frattempo avrete modo di…
 
non lo so, quello che volete fare fate!
 
A presto!

E meno male che non voleva festeggiare il compleanno…

Un gatto stamattina mi guarda… assonnato. Veniva quasi da chiedergli chi avesse più sonno tra noi due. Io però camminavo. Il gatto era invece fermo, accovacciato. Mi guardava con i suoi occhi semichiusi. Ma giurerei di non averlo visto ieri sera, ne al Solleone, ne al Bowling… chissà, forse ci seguiva da lontano!
A parte l’improbabile gatto spione, ieri sera è andata bene, più o meno per tutti ma bene. Io tra l’altro ho avuto modo di rivedere altri miei amici, per caso, un modo fortuito di rivedere persone care che non vedevo da parecchio, altre che avevo visto fino al giorno precedente.
L’occasione di una involontaria festa di compleanno, organizzata in quattro e quattr’otto, ha avuto dei risvolti cementanti per il gruppo di amici, formatosi via via dopo l’esperienza di Loreto.
 
E gatto o non gatto, si va avanti nel viaggio della nostra vita: si incontrano amici, persone care, altre come al solito vanno via o forse siamo noi a mandarle via. Incontriamo chi non vediamo già da tempo, troppo tempo, chi avremmo voluto non ci fosse più da tempo con noi, poi improvviso ritorna: tornando con chi non avremmo mai voluto vedere. Che fare?
Non uscire più. Perdere la possibilità di trovare, visitando luoghi, emozioni e sentimenti che possiamo tradurre in fotografie. No, non possiamo farlo. Usciamo, andiamo incontro all’uomo, alla donna che ancora non conosciamo, forse stanno aspettando proprio noi, forse vogliono che siamo proprio noi a traghettarli in chissà quale altra parte del mondo. Non possiamo rinunciare all’incarico che ci viene affidato, incarico che potrà costarci anche caro in termini di “tempo”, di vita, di emozioni, di sentimenti, di piccoli pezzi di cuore sparsi qua e la… Usciamo, per una pizza, un panino, una partita, un sorriso, un ricordo da tenere stretto… usciamo, pensando che dobbiamo vivere, sempre e ovunque.
Poi magari ci fermiamo. Ma intanto abbiamo vissuto ancora. Spinta da chissà quale forza, la Forza dell’Amore che ci spinge ad andare avanti. Avanti, avanti e ancora vanti, fino dove potremo con le nostre forze, le nostre, le mie e le tue, chiunque tu sia per me. Andare avanti, senza voltarsi mai, senza fermarsi mai, lasciandosi liberi di andare…
 
Esci, vai incontro alla vita, nelle sue forme più disparate: una folla che si incontra per caso davanti lo stadio, una persona che sorride per un bimbo appena nato, una mano che stringe una spalla quasi per consolarla per un’unghia rotta, un uomo che gira per la città per lavoro, una madre ed una figlia che pranzano insieme da sole, degli amici che ti vengono a dare una mano per una cantina da sistemare, un gioco di società in un pomeriggio pseudo estivo, un saluto ad una persona che non tornerà più, un telefono che squilla e dall’altra parte nessuno che risponde…
La vita sotto ogni suo aspetto, una vita che ti aspetta.
Ed in tutto questo sai dove si trova chi fai oggetto di domanda continua… Dove sei? Sai dove si trova, poco alla volta ti fai sempre più vicino alla risposta, sai dov’è…
 
E così diventa anche doveroso manifestare la ragione di un intervento sul blog, un commento senza senso apparente, una canzone che parla di solitudine… o forse ne parla solo per parlare della compagnia bella di persone che abbiamo accanto, quasi fosse il negativo della realtà che viviamo.
 
Parole, ancora parole… fatte di noi…
 

Tre foto e non solo

La prima foto è quella della luna: in alto, su nel cielo, un quarto o un terzo di luna, splendente come non mai, fagocita delle nuvole che si distinguono con il bagliore lunare…
La seconda foto è quella delle case casualmente disposte sulla collina di Baida: illuminate, fanno pregustare la gioia del Natale, non tanto per i regali, ma soprattutto per il clima che dovrebbe respirarsi in ogni casa…
La terza foto l’ho scattata prima della seconda, un viale illuminato dai lampioni stradali: le luci allineate, ben disposte, seguono un percorso, illuminano la via che porta a casa…
 
Peccato non aver avuto con me la macchina fotografica, mi sarebbe piaciuto scattare queste belle foto,  ritrarre aspetti della vita quotidiana… aspetti belli, immortalati, consegnati ad una eternità… anche se, ad ogni modo, la foto più bella rimane sempre quella che ancora non è stata scattata…
 
Ora ho fame! posso andare a mangiare… tacchino arrosto e macedonia!
Chiamerò mia madre tra un poco, domattina la opereranno… Tutto andrà per il meglio, ne sono sicuro, il Signore, per quanto mio fratello "filosofo" possa avere qualcosa da ridire, il Signore veglia dall’alto su di noi, sulle nostre vite! Magari anche mio padre e i miei zii chiedono qualcosa a Dio per noi, magari ci "raccomandano"…
Ma Lui sa sempre ciò di cui abbiamo bisogno, ciò di cui realmente abbiamo bisogno, e a Lui affidiamo sempre la nostra vita, i nostri familiari, i nostri amici, i nostri nemici, ovunque essi siano, qualsiasi cosa essi facciano…

Due parole

In fondo bastava poco,
solo parlare.
Già, in modo ideale?
Solo parlare
per sentirsi ancora più vicini..

Un aiutino per favore…

«Il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda,
ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo»
Rm 14,17  
 
Qualcuno mi aiuti: è da ieri che mi frulla questa frase per la testa… perché?

Mia madre

Ha quasi sessant’anni
non me lo dice la sua carta d’identità.
Sono le rughe sul suo viso a dirmelo.
Il tempo passa, inesorabile..
 
Passa, tu non te ne accorgi,
scorre anche sul nostro finto silenzio.
Tu mi parli, lo sento.
 

Tic tac…

Mi chiedo già da qualche tempo se sia doveroso, o meno, fare una riflessione sul tempo…

Già, perché “esso” passa ed, a volte, è difficile fissarlo…

È difficile trovare anche il tempo per far aggiustare un vecchio orologio, alla fine però l’ho trovato il tempo!

E ora il vecchio orologio, mia madre lo regalò a mio padre quand’erano fidanzati, “ticchettia” come un tempo…

È facile trovare un po’ di tempo quando si è soli a casa! E lasciare che nel tempo i ricordi diventino ancora una volta vivi…

Mio padre, mia madre… Oggi è giorno 12 settembre, ancora quattro mesi e saranno 16 anni che mio padre non è più tra i vivi…

Mia madre è da ieri in ospedale, ricoverata per un piccolo intervento, io ormai "spadroneggio" casa casa… a parte la sensazione di oggi, poco fa, tornare a casa sapendo che non c’è nessuno, accendere le luci, prepararsi qualcosa da mangiare, anche uno yogurt va bene… tutto mi ha dato l’impressione di un mio futuro… a parte questo tempo che dovrà ancora venire, a parte tutto, pensavo anche ad un versetto del salmo 126, “Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori…”.

E per costruire una casa normalmente ci vuole del tempo, di qualsiasi casa si tratti…

 

Perché riflettere sul tempo? Perché meditare sul valore che esso assume anche all’interno dei nostri rapporti interpersonali?

Perché la nostra vita, il tempo della nostra vita, è vano se non lo affidiamo a chi del tempo ne sa da più tempo di noi, avendo poi tanto tempo, infinito, direi quasi un’Eternità!