Tra le pagine dei ricordi

Parole che non sappiamo di avere. Parole che sanno di amore. Parole che parlano dell’Amore. Sono quelle “difficili”, quelle che nessuno ci ha forse mai detto di dover usare. Sono le parole che sgorgano dal nostro cuore, improvvise, un fiume in piena si riversa dalla nostra bocca fino a travolgere il nostro interlocutore, molto spesso lontano, molte volte pure assente. Perché non sa di quello che stiamo scrivendo, magari pur sapendolo ci ignora, non respinge nemmeno la nostra fatica immane di controllarci. Semplicemente ignora.
Ignoriamo allo stesso modo le persone che abbiamo accanto. Gli amici… ancor di più i familiari, i nostri genitori. Sarà il periodo critico che si avvicina, sarà chissà cosa, credo sia doveroso dire grazie “almeno” a loro, ai nostri genitori…
Periodo critico… perché durante il periodo di Natale del 1991 mio padre cominciò a stare sempre più male… mio padre (quando sei piccolo pensi i tuoi genitori come indistruttibili, quasi dei supereroi, pensi che loro saranno sempre con te)… per poi morire nel 1992, il 12 gennaio, a pochi giorni dal mio compleanno. Allora il clima del prepararsi per il Signore che viene, assume anche i contorni di una memoria personale della propria vita. Episodi. Parte della mia vita che si ripresenta puntualmente. Oso dire che sia la mia personalissima Pasqua. Oso, ma non troppo. Rivivo mentalmente tutto quel periodo, ritorno indietro a quei giorni passati, quelli che pensi di aver relegato nel passato, quelli che invece ritornano. Sempre. Anno dopo anno sono li. Aspettano te, aspettano me. Anche se in fondo non li avresti voluti mai, loro sono lì che ti aspettano, mi aspettano. Andiamo incontro. Affrontiamoli, ogni anno in modo sempre più maturo, perché in fondo gli anni passano, aumentano di numero sul calendario, aumentano anche su di noi, ci facciamo forti, siamo resi forti dalla vita che viviamo.
Non è ancora il tempo della memoria, so solo che il periodo si avvicina, mi preparo, non servono Novene, stellari o chissà cosa per prepararsi, basta accendere una corona, a metà tra una corona d’Avvento ed una corona di spine. Ma quei giorni, i miei giorni arriveranno. Arriveranno.
Intanto pensando al futuro mi fiondo a scrivere un piccolo grande grazie a mia madre… in questi anni mi ha cresciuto, mi ha visto crescere, mi ha dato il sostegno per andare avanti… ed anche guardando il suo viso stanco non posso che dire che le voglio bene… anche se a volte ho fatto i capricci… o forse li ha fatti anche lei… la ringrazio, perché mi riserva sempre la possibilità di stupirmi, è una bellissima cosa! Ringrazio mio padre, ringrazio lei, per avermi concepito, per aver accolto nella loro vita la mia vita, aver ricevuto un dono dall’Alto… ed ora sono in cammino per donarmi agli altri per Colui che è lassù in alto!
Stupirmi… come il suo messaggio, il suo sms nel quale mi diceva che si era dimenticata a ringraziarmi per tutto quello che faccio per lei… assurdo! Ed io invece… non la ringrazio mai abbastanza… magari lo facessi! Se faccio quello che mi chiede di fare lo prendo come un comando seccante, sbuffo, digrigno, ringhio ed eseguo l’ordine… e chissà quante richieste "assurde" ha dovuto sentire da parte mia in questi anni!
Ordine. Bisogna fare ordine. Passare dal caos al cosmos…
 
È anche un modo di prepararsi al cammino d’Avvento, cominciando a togliere un po’ di disordine dalle nostre stanze polverose e piene di cianfrusaglie. Pensiamo a prepararci per uscire il sabato sera, puliti, perfetti, impeccabili… per poi rimanere sempre uguali l’indomani, la Domenica, giorno di incontro festoso con Lui, in un giorno glorioso. E se dovesse domandarci? Cosa potremo rispondere? Ah si, scusaci, eravamo troppo intenti con i preparativi del sabato che abbiamo messo in secondo piano quelli della Domenica… Eravamo troppo intenti a “scimmiottare” la sua immagine… pensavamo di poter essere perfetti come Lui è Perfetto!
 
Una volta pulita la camera, passeremo il tempo a sistemare un paio di cose, un quadro, delle luci, un nuovo tavolo, la sedia… ed alla fine troveremo pure il tempo per mettere dei ninnoli graziosi, quasi fossero dei fregi di particolare bellezza artistica, come dei baci avuti dalla propria mamma, senza averli chiesti, prima di andare a letto…
Ma è solo un altro grazie da aggiungere alla lista…

Dopo i miei giorni…

Ci si affaccia da una finestra: ci si affaccia per osservare il paesaggio, bello quando fuori c’è il sole, ancor più bello quando piove. Richiudiamo la finestra e ringraziamo il Signore di non essere per la strada per prendere delle secchiate d’acqua che improvvise scendono dal cielo, quasi fossero solo per noi. Invece noi siamo a casa. Al caldo. Riparati all’interno di una casa, nella nostra stanza, acquisiamo un senso di sicurezza che ci permette di vivere al sicuro, riparati da tutte le intemperie che possono colpirci ora, da tutte le tempeste che potranno colpirci domani.

Ma forse oggi non basta solo una casa, non basta ripararsi così per sfuggire agli attacchi meteorologici, a maggior ragione se siamo noi i primi a scagliare, tuoni, fulmini e saette contro di noi.

Esiste un modo per ripararsi ancora più facilmente, con una sicurezza e solidità che non ha pari… tale modo è la preghiera…

Silenziosa. Adorante. Ci mette in contatto. Come in una coppia, capace di amore, capace di amare  all’interno ed all’esterno della propria intimità, che si apre al dialogo fecondo tra se ed il mondo esterno, così la preghiera mette in contatto noi con il nostro Amato, Colui che è da sempre, Colui che è sempre, Colui che sempre sarà.

Ci apriamo a Lui allora per essere certi di poter essere certi di conoscere Lui: il Signore che da sempre ci ama ha bisogno solo di una cosa da parte nostra, la nostra libertà di metterci alla sua sequela, al suo servizio, al suo ascolto, rimettere completamente la nostra volontà nella sua, mettere il nostro cuore dentro il suo, il cuore di Dio che ha bisogno del nostro si, che ha bisogno di un atto della nostra libertà, Lui che è capace di tutto, ha bisogno della nostra libera adesione al suo progetto.

Ha bisogno di noi per costruire quanto ha pensato per noi. Non fa e basta. Non può farlo: smetterebbe di amarci. Ma al contrario di noi, esseri umani prima, cristiani dopo, non smette di amarci, di volerci bene. Talmente ci ha amati che ha dato il suo Figlio unigenito per noi!

Avesse fatto solo questo…

 

Cosa vedi ora dalla finestra? La stessa finestra di oggi da un altro spettacolo, una città distesa, una trama di piccole luci, quasi fossero delle lucciole su di un grande prato. È una città che vive. Vive delle sue relazioni, delle sue emozioni, di quelle che compongono il grande mondo in cui viviamo. Trame fatte da persone che hanno un nome, un volto, una propria identità. Persone che vanno incontro ad altre persone, le aiutano nel loro modo di relazionarsi, gettano reti in cui quelle trame diventano via via più fitte, fino quasi a restare intrappolati. Ci si libera però da queste maglie, ci svincoliamo dagli orditi e troviamo la nostra libertà, quella presunta, poiché in realtà in quelle reti ci stiamo bene, ne abbiamo bisogno per restare connessi alle nostre amicizie, ai nostri affetti, al nostro singolare gioco delle parti. Lui ci guarda dall’alto, ci fa vivere, ride per noi, piange per noi, ride quando ridiamo, piange quando piangiamo, resta accanto a noi in tutti i momenti che compongono gli istanti della vita: la nostra, fatta di momenti e di istantanee, foto in rapida successione nelle quali cogliere ancora una volta la vita, la nostra.

Nello spiegarsi delle reti troviamo uomini e donne che vanno in giro da soli, solitari, abbandonati a se stessi da se stessi e anche dagli altri. Uomini e donne che vanno in cerca di sane alterità con cui confrontarsi. Con cui creare delle reti per restarne intrappolati. Restare “intrappolati” nelle reti dell’Amore. Già, come restare tra le sue mani, al calduccio, piccoli cuccioli di essere umano.

Alcuni vanno in giro non sapendo chi o cosa cercare. E poi trovano spinti dall’Amore… altri si illudono di averlo trovato… è qui, no, è la! Aspettami, ti raggiungo… sono frasi che si dicono tra di loro. In attesa. Rimangono alla fine in attesa.

 

Attendi. Come se fosse un treno che deve passare, una coincidenza (tragica del “destino” aggiungerei…). Un autobus che sai quando parte dal suo capolinea, ma a causa del traffico non sai mai dove si trovi. E intanto aspetti. Attendi.

 

È meglio mettersi in moto, in movimento, così, su due piedi cominci a camminare e vai incontro ad altri che sono fermi… e coinvolgi anche loro, fino a formare una fiumana immensa di gente! Dove andiamo, dove stiamo andando? Tutti si chiedono, se lo chiedono insistentemente! Dove andiamo, dove stiamo andando? Sappiamo solo che stiamo seguendo un tizio che segue un altro tizio e così via… fino ad arrivare a noi, che muoviamo i passi con tanti altri passi che seguono subito dietro.

Dove andiamo? Andiamo incontro a Lui! Ecco dove andiamo! Andiamo dietro chi ci ha chiamato ad andare dietro… perché il discepolo è sempre dietro il Maestro, e noi non vogliamo essere accusati di essere satana! Andiamo, seguiamolo… e restiamo unti, compatti, pregando.

 

Non lo abbiamo più fatto. Abbiamo vissuto esperienze forti di Chiesa, abbiamo lasciato che la nostra Diocesi si aprisse più volte all’incontro con gli altri apostoli, con le altre sedi apostoliche, le altre diocesi… abbiamo pregato, con la pioggia, con il sole, stanchi, affamati. E poi?

Lui prima ci ha chiesto di incontrarci nel suo nome e poi noi? Lo abbiamo fatto solo una volta… e non lo abbiamo fatto più. Certo, ci siamo visti altre volte, una pizza, un film, una birra… ma non ci siamo ritrovati più a ringraziarlo, ad adorarlo, a chiedere semplicemente “Ciao come stai… sei felice dei guai che combiniamo?”. Non lo abbiamo più fatto. È così poco alla volta abbiamo perso la splendida gioia che si era accumulata. Un patrimonio sperperato, male investito. Migliaia di milioni bruciati con le borse che scendono, salgono… noi bruciamo quanto di più prezioso abbiamo con molto meno, molto meno impegno sicuramente, non abbiamo bisogno di giocare con i giochi dei ricchi e dei potenti…

 

Pregare. Affidare, senza mai stancarsi la nostra vita a Lui che l’ha donata, quasi un volerla restituire ma non perché sia guasta, mal funzionante, ma solo per ringraziare, scoprire di essere troppo poco degni di viverla come vuole, sforzarsi per colmare le lacune, le mancanze, le deficienze.

 

Pregare per chi è entrato nelle nostre maglie, nelle nostre reti. Prima che fosse tardi, prima che potessero restare soffocati, hanno deciso di svincolarsi. Hanno fatto bene. Pregare per chi nel passato è stato poco felice della rete che ha avuto venendo al mondo. E si è ritrovato a dover crescere altri più piccoli, non vivendo per se stesso quella parte di vita che chiamiamo infanzia.

Ed ora è in cerca di Te, come se non ti avesse mai trovato, quasi a volerTi chiedere il perché, dopo tutto questo continui a torturare la sua esistenza.

 

In quella rete, nella tua, trovi di tutto, tanti pesci, tanti uomini pesce, tante donne pesce… sirene?

Uomini e donne che si ritrovano a vivere situazioni già vissute nel passato, non stanchi di averle già vissute, se le ripropongono con attori diversi. E le vivono intensamente, sempre, come se fosse la prima volta. Recitano una vita, una vita che recitano, non prendono mai decisioni, quelle che riuscirebbero a sbloccare un ciclo di vita sempre più ciclico. E si confrontano e confortano con le esperienze che vanno accumulando fino alla fine dei giorni. Giorno dopo giorno.

 

Allo stesso modo cresciamo, giorno dopo giorno, diventiamo sempre più disponibile ad accogliere la sua Parola nella nostra vita, trasformando il semplice udire la Parola in un profondo e radicale cambiamento delle nostre azioni, della nostra qualità di vita, tutta ora volta a Lui. Non ora, non subito, adesso, ma un graduale convergere alla sola fonte. La fonte dalla quale sgorga la Vita Eterna. È per caso la stessa acqua che abbiamo sentito cadere guardando fuori dalla finestra? No, non è la stessa… non da le stesse sensazioni di bagnato sulla pelle quando la pioggia cade su di noi. Quest’Acqua lava dentro. Sgorga fuori di noi, la beviamo, ci disseta, dentro. Un continuo movimento da fuori verso noi, in noi. Semplice. Un convergere di noi verso Lui solo allora sarà anch’Egli in noi. Lava dentro, fino ad arrivare al nostro peccato, quello che abbiamo taciuto, per vergogna, molte volte, per dimenticanza, poche. Come se Lui non vedesse quanto è in noi. La combinazione semplice, lineare, di bene e male che lasciamo abitare in noi. Una combinazione non lineare? Omogenea almeno. Un sistema di bene e male così fatto, un tale sistema di equazioni lineari omogenee perché ben integrate nel nostro quotidiano, avrebbe solo soluzione banale, tutti e solo zeri nelle incognite.

 

Banale. Come la soluzione che dobbiamo dare alla nostra vita, perché in realtà non la vediamo, sotto il nostro naso è difficile da scorgere. Difficile perché la scartiamo a priori: è troppo banale, facile, semplice. Come la preghiera semplice. Noi la pensiamo semplicemente banale. Non si deve far altro che aprire il cuore a Dio, senza formule, formulari, riti particolari, lunghe sequenze mnemoniche da ricordare alla perfezione. La preghiera semplice non è questo: è lasciarsi condurre nel nostro deserto, quello dove solo il Sole illumina e riscalda, dove non vediamo niente, quasi sempre immerso in una tempesta di sabbia. E in quel deserto scoccare frecce d’Amore, guidate dall’Amore, dopo aver teso un arco d’Amore, tra noi e il prossimo: lasciarla partire, lungo la traiettoria che l’Amore stesso andrà tracciando verso gli altri, coloro che non vediamo, ma che in piena fiducia verso Dio sorgente di luce e di fede, sappiamo che colpiremo. Fino a lasciarli non feriti, ma vivi del loro più autentico stupore per il dono che abbiamo fatto. Un dono bello come il pregare ancora una volta insieme, come le lacrime che scendono dai nostri occhi, insieme, occhio destro e occhio sinistro: da entrambi sgorgano lacrime che sanno di tenerezza, di penitenza, di pentimento…

Quando piange il coccodrillo

È una stanza calda la mia, non molto grande, oltre al grande termosifone, passano i tubi che portano l’acqua calda nel resto dell’impianto. Fa molto caldo. E non è solo una mia impressione. Impressione forse potrebbe essere altra cosa… cosa? Impressione è quella che ho percepito fortemente la settimana scorsa, un venerdì mattina di pioggia torrenziale, come ormai ci stiamo abituando dalle nostre parti. Impressione data dalla nostra esitazione nel dare soccorso ad una coppia di anziani fermi in una strada in salita. La pioggia scendeva, loro fermi, fuori dall’abitacolo cercavano soccorso. Esitazione, la nostra. Credetemi, tanta. Ci siamo fermati a pensare cosa dovevamo fare, proseguire la nostra strada per arrivare in orario in facoltà oppure fermarci e fare qualcosa. Fare qualcosa era la cosa migliore da fare. E l’abbiamo fatta! Cosa importava se ci bagnavamo? L’importante era alla fine compiere la nostra buona azione quotidiana. Come se bastasse farne solo una…

Poi per il resto in lungo e in largo nella nostra vita andiamo alla ricerca di Dio… a volte lo troviamo laddove pensiamo possa essere, forse lo confondiamo con altro… altre volte sfugge alla nostra “attenta” ricerca.

Cercarlo laddove pensiamo sia, non vederlo dove è realmente presente.

Spuntano le lacrime: di penitenza e pentimento. Esiste una preghiera attribuita a S. Giovanni Crisostomo, una preghiera che il cristiano ortodosso, quando si corica, chiede il dono delle lacrime: “Signore, concedimi lacrime, il pensiero della morte e la commozione del cuore”.

 

Spero che le lacrime da noi versate non siano quelle di coccodrillo…

Sensazione

Siamo fatti di nuvole, leggere, vaghiamo sospesi su nel cielo…

Assumiamo forme, contorni strani, a volte come di animali o oggetti del nostro vissuto quotidiano.

Altre rievochiamo i nostri stessi ricordi, belli o brutti che siano.

A volte siamo bianche, altre nere, nuvole bianche, nuvole nere, cariche di pioggia o dei nostri buoni sentimenti non espressi: aspettiamo solo il temporale che inonderà la terra… di noi. Sarà pronta ad accoglierci?

Allora aspettiamo, continuamente aspettiamo che ancora una volta il sole appaia, riscaldi l’aria e ci faccia dissolvere ancora una volta, fino a farci confondere, con le altre nuvole, nell’azzurro profondo del cielo…

Ringraziamenti…

Vanno a tutte quelle persone, presenti o assenti, amiche o no, vicine o lontane…
E poi aggiungere una cosa… un’amico lontano è una parte di noi che sentiamo lontana…
Un parte che a volte nella sua lontananza si fa sentire vicina, con il dolore dell’assenza.
E credo sia sempre l’esperienza del chicco di grano, l’esperienza che ci portiamo dietro da molto tempo…
Morire per fare frutto…
sempre.
 
Anche tra le pareti aride di un cuore una volta fertile…

Nuovo giorno

Andrò in facoltà…
la barba sul volto la stessa di ieri…

Cambierò solo il viso,

mettendo un nuovo sorriso,

il mio senza di te…

Dentro la tasca…

Aspettare davanti ad una tastiera che il pensiero prenda forma e si concretizzi a partire dalle esperienze vissute, condivise con gli amici. Sembra quasi un tormento l’amicizia, forse è come essere in una tormenta… poi alla fine della tormenta di neve si mette a piovere… ed alla fine spunta il sole e nell’aria carica di umidità si forma un arcobaleno… essere come un arcobaleno per poterne fare di tutti i colori!
È quasi un ciclo in cui spesso ci si ritrova, per caso, per volontà propria, per quella altrui. Un ciclo. Possiamo sempre interromperlo questo ciclo. Chiuderne uno per aprirne un altro.
Altrimenti cominciamo a correre il rischio di predicare bene e razzolare male… rischiamo di ruzzolare rovinosamente!
Allora apriamolo quest’altro ciclo, apriamolo andando incontro all’Altro!
Apriamolo non prima di aver chiuso con certi aspetti di noi stessi, non prima di averli chiusi integrandoli con la nostra vita, nella nostra vita. E questo è possibile.
È possibile così come possiamo mettere una mano nella tasca della nostra giacca, aprire la cerniera e pescare li dentro quanto nelle ultime tre settimane vi abbiamo riposto… delle lettere che non giungeranno al destinatario, un cuore di carta, un bracciale dell’obiettivo.
Delle lettere non parlerò, vorrei che ancora una volta fossero le parole scritte in giorni passati a poter parlare: ma è un cane che si morde la coda, le lettere non parleranno fintanto che nessuno le leggerà. Se chiudessi le lettere e le spedissi? O se chiudessi le lettere e le lasciassi chiuse in un cassetto? O se prendessi le lettere e le mettessi via per sempre? Questo diventa il primo aspetto che non chiudo, rimane sospeso… vediamo gli altri due…
Un cuore di carta: dalla contemplazione alla gratitudine. È questo il pensiero che mi lega all’esperienza dei giorni con il gruppo di Mater Ecclesiae. Aver imparato ad essere grato di ogni cosa al Sommo Creatore, ogni cosa! Essere grato dei momenti di vita che ci vengono donati, che viviamo con l’intensità tipica del nostro carattere. Non importa se è un bel periodo, se è un brutto periodo, se è un periodo così così… l’importante è esserci, con la mente e soprattutto con il cuore! Diventare grati per le nuove persone che si sono incontrate, per il loro sguardo “giovane” tutto proteso ad un futuro che è ancora da venire, mostrare loro i segni di grazia che il Signore ha lasciato in noi questi anni… è questo che dobbiamo fare, per essere testimoni dello Spirito in cui siamo immersi, dello Spirito che respiriamo! E tutte le tazze di latte caldo con il miele per tenere su la voce saranno servite a qualcosa! Sarò pur servito a qualcosa, saremo pur serviti a qualcosa noi ragazzi più grandi! Degli strumenti nelle mani di Dio, si, ne sono sicuro, siamo stati proprio questo! Degli strumenti docili, attenti nella preghiera, quasi con amorevoli cure paterne e materne da riservare ai fratelli più piccoli in cammino… e tra serietà, risa e il fare comunione insieme, spunta un grazioso cuore, ritagliato da un cartoncino bianco… grazie di cuore a tutti, veramente un grazie di cuore che non è solo di carta… e se Valeria si aspetta un ringraziamento particolare, data la mia particolare “asocialità”, beh, se lo può proprio scordare! Ringrazio tutti indistintamente perché forse non vorrei ringraziare nessuno!
Il bracciale dell’obiettivo mi ricorda invece i filatteri le piccole teche di cuoio a forma cubica che contenevano dei rotolini di pergamena con passi biblici e che si legavano al braccio sinistro e sulla fronte mediante legacci. La loro origine era in realtà simbolica e suggestiva, come si dice nei passi scritti sui rotolini: "Questi precetti che oggi ti do ti restino incisi nel cuore, te li legherai come segno sopra la tua mano e come ricordo tra i tuoi occhi". Era questa la rappresentazione viva della fede nella parola di Dio che è alimento e guida della coscienza (il cuore), dell’azione (la mano) e della mente (la fronte).
Belle parole quelle contenute nei filatteri… l’importante però era metterle in pratica, discostandosi così nettamente dal rituale… passare dalla contemplazione all’azione. Era ed è ancora oggi l’importante!
Se lo Spirito della gratitudine e della riconoscenza non diventa altro nella nostra vita, restiamo così, semplicemente a guardare e non riusciamo ad entrare nel mistero che ci avvolge. Azione.
Possiamo avere uno, due, tre o più bracciali dell’obiettivo, renderanno solo il nostro braccio più pesante se non incidiamo davvero nel profondo del cuore verso chi stiamo andando, il nostro Obiettivo.
Poi esci la mano dalla tasca, chiudi la cerniera e continui a camminare per la tua strada, sai cosa hai nella tasca, sia verso dove stai andando, verso quale casa stai muovendo i tuoi passi. La casa del Padre. È Lui che ti aspetta da sempre. Tu nel frattempo ti fermi, come se avessi tempo da perdere, anziché aumentare il passo, lo rallenti. Aspetti. Cosa?
Aspetti che altri ti raggiungano, non vuoi che rimangano dietro di te, vuoi che anche gli altri possano gustare la presenza di Dio nella propria vita, vuoi che anche gli altri, possano camminare con te. Ma forse ognuno ha i suoi tempi, ognuno ha una valigia, una borsa, uno zaino, che porta con se. Ed è pesante.
Ed anche se tu vuoi dar loro una mano, resta pur sempre la loro, il loro bagaglio personale. Chi di noi sa realmente di ciò di cui abbiamo bisogno? Chi di noi va veramente incontro all’essenzialità delle cose?
Chi di noi comprende tutto ciò, di costui o di costei possiamo dire che è già a metà strada e siamo noi quelli che devono aumentare il proprio passo per raggiungerli!
Abbiamo persone che abitualmente camminano con noi, altre che prima sono vicine poi si allontanano, si eclissano… Di queste alcune sono tornate, più fratelli e più sorelle di prima, come quelle sorelle con problemi ai loro pc portatili… Ti accorgi che sono belle, delle belle persone, e che adombrati dai pregi i loro piccoli difetti (che amplifichiamo fino a farli diventare grandi, più grandi dei nostri) sono il più bel dono che possono avere, i doni che fanno esercitare la tua pazienza… e di questa ce ne vuole tanta. Ti accorgi della bellezza che va oltre l’aspetto fisico, quella sintonia, armonia di intenti che solo Chi sta in alto può averci donato… è bello meditare così sulla Sapienza di Dio: “se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata”.
Abbiamo persone che hanno vissuto con noi dei mesi, dei giorni, poi non le abbiamo più viste ne sentite, magari dopo, a volte, ci hanno pure ignorato: forse siamo stati noi ad essere troppo “morbosi”, quasi a voler monopolizzare la loro vita nella nostra e così ci hanno lasciato, l’unica cosa da fare che restava loro era quella di andare via da noi. E se oggi siamo cambiati? Ritorneranno, in attesa fiduciosa sappiamo che ritorneranno, così come altre prima di loro sono tornate, torneranno anche loro. Fiducia paziente. Nella gratitudine e nella contemplazione.
 
In una delle lettere Maria von Wedemeyer scriveva a Dietrich Bonhoeffer: "Cosa posso scriverti? C’è solo quest’unica cosa da dire: ti voglio molto bene e ti appartengo completamente con tutto il mio fare, pensare e sentire. Soffro per questo tempo perché per te è così pesante e perché tu soffri, ma mi consolo poiché ho una grande e imperturbabile fiducia in te, ce l’ho da quando ti vidi per la prima volta e da allora non ha fatto che crescere"…
Sembrano quasi le parole che Dio scriva all’uomo di ogni tempo, da sempre…
 
Dopo questo non ho più niente da scrivere…

Qubert…

1982, avevo solo 6 anni, ricordo come fosse appena ieri uno strano gioco che andava di moda proprio in quei tempi. Che gioco!
se non ve lo ricordate, evidentemente, avete molto meno di trentanni, e per voi gli anni 80 sono soltatno parte di una canzone di Raf.
Quel simpatico nasone che saltava da una faccia ad un’altra di cubi disposti su una piramide. Non lo ricordate? Allora avete meno di trentanni, molto meno…
Ricordo Q-bert e lo associo con una riflessione, quella della contemplazione. Come mai?
Ecco di seguito spiegato…
La nostra vista per quanto stereoscopica possa essere è "purtroppo" limitata… Ad esempio, se prendiamo un cubo tra le mani (ecco perché Q-bert…) e lo guardiamo frontalmente, dei quadrati che lo compongono, dei sei quadrati, ne vediamo solo uno. Se lo facciamo ruotare attorno ad un asse verticale, ecco, che poco alla volta vedremo anche una seconda faccia, uno a due, non di più… e se cambiassimo asse di rotazione? "Fortuna" vuole che le facce diventino tre. Mai più di tre. Tre rimarranno sempre nell’ombra, per lo meno nascoste alla nostra visione.
Questo segna il limite al nostro vedere, al nostro entrare dentro le cose, ci fermiamo alla loro esteriorità, non andiamo oltre la fisicità, quello che vediamo, quello che possiamo vedere. Il resto? Nascosto.
La nostra visione stereoscopica da’ solo la profondità… o no? Non aggiunge altro. Tre facce su sei. È un bel risultato, il migliore che possiamo ottenere.
Questo è vedere.
Contemplare è vedere anche le altre tre facce. Conteplare è andare oltre quelle tre dimensioni, aggiungerne altre tre, quelle che non vediamo. La realtà, uno spazio a tre dimensioni è sempre la stessa, ne aggiiungiamo altre tre… diventa uno spazio a sei dimensioni? E il tempo? lo aggiungiamo come una variabile?
Non possiamo da soli perderci in discorso che sanno di geometria o fisica ad n-dimensioni, per vedere le altri parti del cubo abbiamo bisogno di altri occhi… altro che visione stereoscopica. Abbiamo bisogno di occhi non nostri ma di Altro. Abbiamo bisogno dei Suoi occhi per vedere dentro l’altro. Contemplare l’altro. Restare in silenzio davanti l’altro, guardandolo con gli occhi d’Altro. Con la pzienza propria del tempo dell’Altro. Restare davanti all’altro con il suo silenzio. Non guardare il suo silenzio, ma contemplarlo… attimo dopo attimo, in un tempo che sa sempre più di eterno. Di Eterno.
Ascoltare il suo silenzio, questo lo faremo dopo…
 

Misericordiae Domini

Per quella volta che sono stato seme
che non è diventato spiga
 
Per quella volta che sono stato luce
che non ha fatto germogliare il seme
 
Per quella volta che sono stato frumento
che non è diventato farina
 
Per quella volta che sono stato lievito
che non ha moltiplicato il pane
 
Per quella volta che sono stato sale
che non ha dato sapore.
 
Per questo chiedo Misericordia,
la Tua!