Dopo i miei giorni…
Ci si affaccia da una finestra: ci si affaccia per osservare il paesaggio, bello quando fuori c’è il sole, ancor più bello quando piove. Richiudiamo la finestra e ringraziamo il Signore di non essere per la strada per prendere delle secchiate d’acqua che improvvise scendono dal cielo, quasi fossero solo per noi. Invece noi siamo a casa. Al caldo. Riparati all’interno di una casa, nella nostra stanza, acquisiamo un senso di sicurezza che ci permette di vivere al sicuro, riparati da tutte le intemperie che possono colpirci ora, da tutte le tempeste che potranno colpirci domani.
Ma forse oggi non basta solo una casa, non basta ripararsi così per sfuggire agli attacchi meteorologici, a maggior ragione se siamo noi i primi a scagliare, tuoni, fulmini e saette contro di noi.
Esiste un modo per ripararsi ancora più facilmente, con una sicurezza e solidità che non ha pari… tale modo è la preghiera…
Silenziosa. Adorante. Ci mette in contatto. Come in una coppia, capace di amore, capace di amare all’interno ed all’esterno della propria intimità, che si apre al dialogo fecondo tra se ed il mondo esterno, così la preghiera mette in contatto noi con il nostro Amato, Colui che è da sempre, Colui che è sempre, Colui che sempre sarà.
Ci apriamo a Lui allora per essere certi di poter essere certi di conoscere Lui: il Signore che da sempre ci ama ha bisogno solo di una cosa da parte nostra, la nostra libertà di metterci alla sua sequela, al suo servizio, al suo ascolto, rimettere completamente la nostra volontà nella sua, mettere il nostro cuore dentro il suo, il cuore di Dio che ha bisogno del nostro si, che ha bisogno di un atto della nostra libertà, Lui che è capace di tutto, ha bisogno della nostra libera adesione al suo progetto.
Ha bisogno di noi per costruire quanto ha pensato per noi. Non fa e basta. Non può farlo: smetterebbe di amarci. Ma al contrario di noi, esseri umani prima, cristiani dopo, non smette di amarci, di volerci bene. Talmente ci ha amati che ha dato il suo Figlio unigenito per noi!
Avesse fatto solo questo…
Cosa vedi ora dalla finestra? La stessa finestra di oggi da un altro spettacolo, una città distesa, una trama di piccole luci, quasi fossero delle lucciole su di un grande prato. È una città che vive. Vive delle sue relazioni, delle sue emozioni, di quelle che compongono il grande mondo in cui viviamo. Trame fatte da persone che hanno un nome, un volto, una propria identità. Persone che vanno incontro ad altre persone, le aiutano nel loro modo di relazionarsi, gettano reti in cui quelle trame diventano via via più fitte, fino quasi a restare intrappolati. Ci si libera però da queste maglie, ci svincoliamo dagli orditi e troviamo la nostra libertà, quella presunta, poiché in realtà in quelle reti ci stiamo bene, ne abbiamo bisogno per restare connessi alle nostre amicizie, ai nostri affetti, al nostro singolare gioco delle parti. Lui ci guarda dall’alto, ci fa vivere, ride per noi, piange per noi, ride quando ridiamo, piange quando piangiamo, resta accanto a noi in tutti i momenti che compongono gli istanti della vita: la nostra, fatta di momenti e di istantanee, foto in rapida successione nelle quali cogliere ancora una volta la vita, la nostra.
Nello spiegarsi delle reti troviamo uomini e donne che vanno in giro da soli, solitari, abbandonati a se stessi da se stessi e anche dagli altri. Uomini e donne che vanno in cerca di sane alterità con cui confrontarsi. Con cui creare delle reti per restarne intrappolati. Restare “intrappolati” nelle reti dell’Amore. Già, come restare tra le sue mani, al calduccio, piccoli cuccioli di essere umano.
Alcuni vanno in giro non sapendo chi o cosa cercare. E poi trovano spinti dall’Amore… altri si illudono di averlo trovato… è qui, no, è la! Aspettami, ti raggiungo… sono frasi che si dicono tra di loro. In attesa. Rimangono alla fine in attesa.
Attendi. Come se fosse un treno che deve passare, una coincidenza (tragica del “destino” aggiungerei…). Un autobus che sai quando parte dal suo capolinea, ma a causa del traffico non sai mai dove si trovi. E intanto aspetti. Attendi.
È meglio mettersi in moto, in movimento, così, su due piedi cominci a camminare e vai incontro ad altri che sono fermi… e coinvolgi anche loro, fino a formare una fiumana immensa di gente! Dove andiamo, dove stiamo andando? Tutti si chiedono, se lo chiedono insistentemente! Dove andiamo, dove stiamo andando? Sappiamo solo che stiamo seguendo un tizio che segue un altro tizio e così via… fino ad arrivare a noi, che muoviamo i passi con tanti altri passi che seguono subito dietro.
Dove andiamo? Andiamo incontro a Lui! Ecco dove andiamo! Andiamo dietro chi ci ha chiamato ad andare dietro… perché il discepolo è sempre dietro il Maestro, e noi non vogliamo essere accusati di essere satana! Andiamo, seguiamolo… e restiamo unti, compatti, pregando.
Non lo abbiamo più fatto. Abbiamo vissuto esperienze forti di Chiesa, abbiamo lasciato che la nostra Diocesi si aprisse più volte all’incontro con gli altri apostoli, con le altre sedi apostoliche, le altre diocesi… abbiamo pregato, con la pioggia, con il sole, stanchi, affamati. E poi?
Lui prima ci ha chiesto di incontrarci nel suo nome e poi noi? Lo abbiamo fatto solo una volta… e non lo abbiamo fatto più. Certo, ci siamo visti altre volte, una pizza, un film, una birra… ma non ci siamo ritrovati più a ringraziarlo, ad adorarlo, a chiedere semplicemente “Ciao come stai… sei felice dei guai che combiniamo?”. Non lo abbiamo più fatto. È così poco alla volta abbiamo perso la splendida gioia che si era accumulata. Un patrimonio sperperato, male investito. Migliaia di milioni bruciati con le borse che scendono, salgono… noi bruciamo quanto di più prezioso abbiamo con molto meno, molto meno impegno sicuramente, non abbiamo bisogno di giocare con i giochi dei ricchi e dei potenti…
Pregare. Affidare, senza mai stancarsi la nostra vita a Lui che l’ha donata, quasi un volerla restituire ma non perché sia guasta, mal funzionante, ma solo per ringraziare, scoprire di essere troppo poco degni di viverla come vuole, sforzarsi per colmare le lacune, le mancanze, le deficienze.
Pregare per chi è entrato nelle nostre maglie, nelle nostre reti. Prima che fosse tardi, prima che potessero restare soffocati, hanno deciso di svincolarsi. Hanno fatto bene. Pregare per chi nel passato è stato poco felice della rete che ha avuto venendo al mondo. E si è ritrovato a dover crescere altri più piccoli, non vivendo per se stesso quella parte di vita che chiamiamo infanzia.
Ed ora è in cerca di Te, come se non ti avesse mai trovato, quasi a volerTi chiedere il perché, dopo tutto questo continui a torturare la sua esistenza.
In quella rete, nella tua, trovi di tutto, tanti pesci, tanti uomini pesce, tante donne pesce… sirene?
Uomini e donne che si ritrovano a vivere situazioni già vissute nel passato, non stanchi di averle già vissute, se le ripropongono con attori diversi. E le vivono intensamente, sempre, come se fosse la prima volta. Recitano una vita, una vita che recitano, non prendono mai decisioni, quelle che riuscirebbero a sbloccare un ciclo di vita sempre più ciclico. E si confrontano e confortano con le esperienze che vanno accumulando fino alla fine dei giorni. Giorno dopo giorno.
Allo stesso modo cresciamo, giorno dopo giorno, diventiamo sempre più disponibile ad accogliere la sua Parola nella nostra vita, trasformando il semplice udire la Parola in un profondo e radicale cambiamento delle nostre azioni, della nostra qualità di vita, tutta ora volta a Lui. Non ora, non subito, adesso, ma un graduale convergere alla sola fonte. La fonte dalla quale sgorga la Vita Eterna. È per caso la stessa acqua che abbiamo sentito cadere guardando fuori dalla finestra? No, non è la stessa… non da le stesse sensazioni di bagnato sulla pelle quando la pioggia cade su di noi. Quest’Acqua lava dentro. Sgorga fuori di noi, la beviamo, ci disseta, dentro. Un continuo movimento da fuori verso noi, in noi. Semplice. Un convergere di noi verso Lui solo allora sarà anch’Egli in noi. Lava dentro, fino ad arrivare al nostro peccato, quello che abbiamo taciuto, per vergogna, molte volte, per dimenticanza, poche. Come se Lui non vedesse quanto è in noi. La combinazione semplice, lineare, di bene e male che lasciamo abitare in noi. Una combinazione non lineare? Omogenea almeno. Un sistema di bene e male così fatto, un tale sistema di equazioni lineari omogenee perché ben integrate nel nostro quotidiano, avrebbe solo soluzione banale, tutti e solo zeri nelle incognite.
Banale. Come la soluzione che dobbiamo dare alla nostra vita, perché in realtà non la vediamo, sotto il nostro naso è difficile da scorgere. Difficile perché la scartiamo a priori: è troppo banale, facile, semplice. Come la preghiera semplice. Noi la pensiamo semplicemente banale. Non si deve far altro che aprire il cuore a Dio, senza formule, formulari, riti particolari, lunghe sequenze mnemoniche da ricordare alla perfezione. La preghiera semplice non è questo: è lasciarsi condurre nel nostro deserto, quello dove solo il Sole illumina e riscalda, dove non vediamo niente, quasi sempre immerso in una tempesta di sabbia. E in quel deserto scoccare frecce d’Amore, guidate dall’Amore, dopo aver teso un arco d’Amore, tra noi e il prossimo: lasciarla partire, lungo la traiettoria che l’Amore stesso andrà tracciando verso gli altri, coloro che non vediamo, ma che in piena fiducia verso Dio sorgente di luce e di fede, sappiamo che colpiremo. Fino a lasciarli non feriti, ma vivi del loro più autentico stupore per il dono che abbiamo fatto. Un dono bello come il pregare ancora una volta insieme, come le lacrime che scendono dai nostri occhi, insieme, occhio destro e occhio sinistro: da entrambi sgorgano lacrime che sanno di tenerezza, di penitenza, di pentimento…
Quando piange il coccodrillo
È una stanza calda la mia, non molto grande, oltre al grande termosifone, passano i tubi che portano l’acqua calda nel resto dell’impianto. Fa molto caldo. E non è solo una mia impressione. Impressione forse potrebbe essere altra cosa… cosa? Impressione è quella che ho percepito fortemente la settimana scorsa, un venerdì mattina di pioggia torrenziale, come ormai ci stiamo abituando dalle nostre parti. Impressione data dalla nostra esitazione nel dare soccorso ad una coppia di anziani fermi in una strada in salita. La pioggia scendeva, loro fermi, fuori dall’abitacolo cercavano soccorso. Esitazione, la nostra. Credetemi, tanta. Ci siamo fermati a pensare cosa dovevamo fare, proseguire la nostra strada per arrivare in orario in facoltà oppure fermarci e fare qualcosa. Fare qualcosa era la cosa migliore da fare. E l’abbiamo fatta! Cosa importava se ci bagnavamo? L’importante era alla fine compiere la nostra buona azione quotidiana. Come se bastasse farne solo una…
Poi per il resto in lungo e in largo nella nostra vita andiamo alla ricerca di Dio… a volte lo troviamo laddove pensiamo possa essere, forse lo confondiamo con altro… altre volte sfugge alla nostra “attenta” ricerca.
Cercarlo laddove pensiamo sia, non vederlo dove è realmente presente.
Spuntano le lacrime: di penitenza e pentimento. Esiste una preghiera attribuita a S. Giovanni Crisostomo, una preghiera che il cristiano ortodosso, quando si corica, chiede il dono delle lacrime: “Signore, concedimi lacrime, il pensiero della morte e la commozione del cuore”.
Spero che le lacrime da noi versate non siano quelle di coccodrillo…
Sta arrivando…
Sensazione
Siamo fatti di nuvole, leggere, vaghiamo sospesi su nel cielo…
Assumiamo forme, contorni strani, a volte come di animali o oggetti del nostro vissuto quotidiano.
Altre rievochiamo i nostri stessi ricordi, belli o brutti che siano.
A volte siamo bianche, altre nere, nuvole bianche, nuvole nere, cariche di pioggia o dei nostri buoni sentimenti non espressi: aspettiamo solo il temporale che inonderà la terra… di noi. Sarà pronta ad accoglierci?
Allora aspettiamo, continuamente aspettiamo che ancora una volta il sole appaia, riscaldi l’aria e ci faccia dissolvere ancora una volta, fino a farci confondere, con le altre nuvole, nell’azzurro profondo del cielo…
Ringraziamenti…
Nuovo giorno
Cambierò solo il viso,
mettendo un nuovo sorriso,