Da lasciare asciugare…

Uno dei problemi che si rischia di vivere con maggiore disagio in Seminario (o forse una volta fuori da questo) è lo “scollamento” tra la realtà che viviamo, quella della formazione, scuola e casa di preghiera, dello studio in una facoltà teologica, delle persone che incontriamo nelle diverse parrocchie, delle nostre esperienze comunitarie, e la realtà che invece “scorre”, come se fosse un fiume in piena, nel resto della nostra città.

 

Tu da che parte stai? In che parte del mondo ti ritrovi a vivere? La domanda può sembrare banale, affrettata, apparentemente forzata: ma ci proietta in una dimensione che ancora deve venire, un mondo reale all’interno del quale ci si muoverà ancora come cristiani, con una responsabilità in più, quella dell’essere pastori, guide forti e sagge delle comunità che saranno date in custodia.

 

Affacciarsi ad una finestra e vedere la vita che va avanti, nonostante si provenga da quella vita.

Ognuno di noi seminaristi proviene da esperienze diverse: lavoro, studio, altre esperienze religiose. Ecco, vedere il mondo da un oblò può togliere il fiato o creare un piccolo momento di confusione.

I fratelli e le sorelle che vediamo muoversi, in fretta, frenetica fretta, all’interno di grandi supermercati, o all’interno di piccole automobili lungo grandi strade, ci deve per forza interrogare sul senso della nostra missione, sul senso del nostro essere “mandati a”. A chi saremo mandati?

 

Sarebbe facile pensare che il nostro ruolo apostolico-missionario possa esaurirsi all’interno delle quattro mura di una chiesa. Sarebbe troppo facile e abbastanza riduttivo.

La sfida diventa quella di una missionarietà che va oltre le mura. La scavalca agilmente? No, la nostra missionarietà apre le porte delle chiese e lascia che da quelle porte spalancate possa esserci il punto di contatto tra le due realtà.

Uno scollamento evitato aprendo un varco, aprendosi ancora una volta all’altro.

Prima di unire le parti bisogna pulirle.. poi stendere un sottile strato di colla, lasciare asciugare per qualche minuto; unire le parti premendo con forza per alcuni istanti. Ecco come si incolla qualcosa che si è rotto… penso più che altro ad una scarpa, con la vecchia suola in gomma che ci ha portato ovunque. Il freddo, l’acqua, il caldo, hanno rovinato la presa della suola sul cuoio. Basta poco per incollarli. Prendi della colla, la stendi, fai asciugare, premi e il gioco è fatto!

 

Per evitare lo scollamento basta invece aprirsi.

Aprendosi all’altro per l’Altro.

 

Esserci per, esserci con l’altro per l’Altro…

Incontri

Come su una metro

veloci incontri si consumano,

gente si affanna,

avanti, indietro per il mondo:

il proprio.

Un io e un tu si incrociano.

 

Rapidi saluti, su rapidi vagoni.

Si incontrano sguardi, sorrisi:

si scambiano tra passeggeri distratti.

Chi sale, chi scende alla prossima fermata?

 

Parte il convoglio,

nelle viscere della città ingoiato.

Buia è ormai la sera.

 

Chi va? Chi resta?

Continua il tuo viaggio,

sia sempre buono…

Un ritorno a casa

Odi

i vespri

alle venti…

 

Sa di rumore lontano, disperso, non perso nel tempo. Disperso.

 

Sa di un orecchio che ascolta, teso, pronto come in agguato, prende rumori nell’aria, li analizza, fa suoi i suoi, comunica i suoni che hanno un senso, un significato profondo sul piano dell’esistenza. Sono. Nel loro essere hanno il senso dell’esistenza.

L’ora tarda lascia intendere che il vespro non è in orario… è tardi, sul tardi. Alle venti.

Quasi in un gioco di parole che non possiamo tradurre in altre lingue. Alle venti… tra i venti che spirano intorno senti i vespri lontani. Sanno di preghiera distante, da un uomo distante, per un uomo distante.

Sa di preghiera di un uomo che cerca un altro uomo, senza Dio? Uomo che chiama altro uomo per mezzo di Lui, uomo raccolto nel proprio io per dire ad un altro: “Vieni…”.

Sa di dolore taciuto, soffocato dal di dentro: non un lacrima versata, non una parola scritta. Non un giorno passato tra mille e affannosi pensieri. Sa di giorni che passano, di dolci pianti e tristi lamenti. Sa di amore lontano, sa di amore vicino, di occhi che cercano visi stanchi che si rifugiano tra la folla. Sa di tutto e sa di niente.

 

Sa di amore che si espande, che come un gas occupa tutto lo spazio disponibile al mondo, sa di amore che sa di Amore. Amore che si estende fino alle isole e ai mari lontani: non si ferma, continua la sua corsa, folle. Si dilata pronto ad accogliere. Anche una nuova vita.

Sa di gabbiani, di foto scattate da altri. Sa di giorni passati a ridere di niente, di nuvole barocche che giocano a rincorrersi. Sa di silenzi colorati d’azzurro nel cielo, di raggi luminosi che scaldano fili d’erba verde. Sa di lenti gesti, di gente stanca che torna dai campi,  di fatica umana, quella che si ha nel vivere.

 

Sa di cavalli che corrono liberi, che attraversano colline, corrono veloci su piccoli fiumi, saltano ostacoli. Potessero loro parlare direbbero chissà cos’altro. Ma corrono e vanno e non lasciano altro che il loro sapere di…

 

Sa di tempo che scorre, non corre ma scorre, lento, come una piccola clessidra va… o come fiume che scorre nel suo letto, quel fiume attraversato da quei cavalli.

Tempo che prende con se il seminatore, lo invita a piantare con coraggio il seme che qualcun altro raccoglierà quando quello sarà pianta cresciuta e robusta.

 

Sa di casa, di cena, di amici.

Sa di giorni che non torneranno più…

 

Sa di spazio chiuso che si apre… ancora una volta si apre.

All’infinito, nell’Infinito.

 

Ritiro e dintorni…

Preso dal mio essere “ritirato” da tutto e tutti ho lasciato spento i miei due telefonini… gli squilli tacciano una volta tanto!

Sono rimasti in silenzio, chiusi dentro un cassetto della mia scrivania di casa, in silenzio, spenti, muti, solitari… in attesa di… di cosa?

Di una città ritrovata, nel traffico quasi assente delle 17.40, in giro con la macchina a destra e a manca cercando di trovare degli amici a casa. Ma non ho trovato nessuno, nessuno ho trovato, nessuno si è fatto trovare: forse avrei dovuto cercare meglio.

Ho trovato invece le conclusioni per questi giorni di ritiro, in questo dialogo a tu per tu con il Signore. Risposte a domande reiterate nel tempo, domande come al solito non ascoltate o rimaste semplicemente inevase, forse rimandate al mittente perché il destinatario è sconosciuto. Chi è veramente conosciuto è il mittente: io.

In questi giorni riflettendo sulla frase dell’apostolo Paolo nella prima lettera ai tessalonicesi: “Esaminate ogni cosa, trattenete ciò che è buono”, e da questa rimandando ad altri passi della lettera come anche alle epistole ai romani, ai corinzi, da questo punto particolare fissato come partenza sono conseguite parecchi cose, molte cose. Dalle più banali alle più complesse, dalle più complesse alle più banali, anzi semplici, una miriade di piccole cose semplici che fanno problemi complessi.

Il silenzio è il custode dell’essere. Essere uomo, essere cristiano.

Non importa chi hai davanti, no davvero, non importa chi ti ritrovi di fronte, chi sia il tuo interlocutore o interlocutrice, il viandante che incontri per strada, il povero che tende una mano al semaforo, la signora che vuole essere aiutata a portare la spesa, il vecchio che è caduto e deve rialzarsi: il vecchio che è vecchio nel cuore o solo perché è avanti negli anni. Non importa chi sia il tuo altro, l’importante sarà sempre riconoscere in quegli occhi gli occhi di Cristo.

Occhi azzurri, verdi, castani, neri… occhi che proiettano la profondità dell’anima. Occhi sfuggono.

 

Esaminate ogni cosa… tutto ho esaminato, sono andato indietro nel mio tempo trascorso, in quello vissuto già… quante cose ho fatto, quante persone ho incontrato, quanti errori ho fatto. Dovrei forse fermarmi? Fermarmi per pensare e andare avanti. Si riprende il cammino in seminario si va avanti, nonostante tutto si va avanti! Bisogna prendere solo il coraggio, magari avere la spinta giusta e andare.. ripartire dopo una sosta può essere difficoltoso ma se si è preso tempo per riposarsi, se si muovono i primi passi con lo spirito necessario, come si suol dire chi ben comincia è a metà dell’opera… basta che non sia l’opera dei pupi!

Trattenete ciò che è buono… mettere tutto dentro il nostro zaino dell’esperienza? No, solo quello che è buono, solo quello che è bello… Buono e bello. In modo relativo? No, Assoluto.

Tutto ciò che ci riconduce a Lui è degno di essere messo da parte, per gustarlo dopo, per assaporarne ancora l’essenza, per farne ancora tesoro nei giorni che verranno.

 

Un pensieroso andare,

giro in auto,

non sapendo la strada.

Il dolore dei giorni trascorsi

la gioia dei giorni vissuti

ti sono compagni.

Seduti li accanto sul sedile.

 

Lungo la strada… la svolta.

Incontri.

La via.

La verità.

La vita.

A volte basta cambiare solo la stanza…

Non è la prima volta che non so cosa scrivere, ma questa volta non è per mancanza di idee, o per mancanza di buona volontà… alla fine però la musa saprà come ispirarmi, lascerà scrivere ancora parti di me… pezzi importanti di me. Io non ho paura di dire quello che ho dentro.
Al contrario di altri, “irresponsabilmente” io non ho paura…
Ma devo cambiare stanza: quella di casa mia non mi piace, non mi ispira, in seminario c’è un altro clima. Forse sono più abituato a stare davanti al portatile che è ormai fisso in seminario che non guardare il monitor del pc di casa. Ma sono solo considerazioni che non portano a nulla, non aggiungono molto di me: parlare di me vuol dire confessare ad esempio le mie paure.
Ho paura di vedere gli altri partire. Ho paura che una volta andate via dalla nostra vita, le persone, gli amici (quelli che riteniamo tali), al loro rientro non siano più quelli di un tempo.
Ed è inevitabile pensare che le persone cambino: davanti a questa realtà propria dell’essere umano, possiamo solo attestare con il tempo le persone cambiano. Chi siamo oggi? Di sicuro non siamo più quelli che siamo oggi, ne tantomeno domani potremo identificarci con il nostro io consegnato al tempo che fugge.
Ho paura allora a dire addio… anche se però non dovrei aver paura di dire a Dio… ti affido a Lui, che pensi Lui a te… io non ci sarò, ci penserà Lui a te…
Viene in mente una preghiera, un’antica benedizione irlandese:
 
Che la via si apra davanti a te:
che il vento soffi sempre alle tue spalle,
che il sole inondi e riscaldi il tuo volto,
che la pioggia annaffi i tuoi campi,
e che, fino al nostro prossimo incontro,
Dio ti custodisca fra le sue mani.
 
Non ricordo se già ho parlato di questa benedizione, scrivo tante parole, ogni tanto qualcuna tende a sfuggire alla mia memoria… o forse è la stanchezza, forse è lo stress, o forse è soltanto la mia vita che va, che continua nonostante tutto.
Se parte un amico è un conto, se torna e poi riparte… si già di questo devo averne parlato, anzi scritto… Essere accoglienti allora diventa una prerogativa della nostra vita, aperti all’incontro, aperti allo scambio reciproco, aperti al dono d’amore che è Amore.
Vanno via anche gli animali, muoiono i cani, muore il pastore tedesco di mio fratello, muore Ahiku… così, improvvisa ci lascia. E lascia in me i ricordi di un piccolo cane che entra nella nostra famiglia, un cane che cresce, che si ammala, che partorisce dei cuccioli… lascia in noi un ricordo, un dolce ricordo, lascia il segno nei cuori…
Allora oggi diventa una giornata da ricordare, diventa un giorno speciale dove per forza si deve dire qualcosa, tutto quello che è stato taciuto nei giorni passati comincia a prendere oggi una forma, una vita che sa di mondo animale, che sa di vita, un procedere nel mio mondo per dire ancora una volta al Mondo chi sono…
Potrò dire che mi mancherà il fatto che mi facesse festa quando andavo a trovare mio fratello, che mi mancherà sentirla seduta accanto, il padrone o il fratello del padrone che danno sicurezza.
Potrò dire che mi piaceva giocare a rincorrerla, a mettere la mia mano nella sua bocca, tanto non stringeva forte, potrò dire che è stato bello vederla crescere… potrò semplicemente dire che mi mancherà, anche perché non ci aspettavamo morisse per un’altra infezione…
Sicuramente non potrò dire che ho seppellito quel cane, massa di morbido pelo, in modo egregio. Di certo aver visto anni fa le puntate della prima serie di Six Feet Under non mi è servito per imparare a sotterrare esseri umani o cani…
 
Non posso dire che ascoltare la stessa canzone possa essermi d’aiuto, ma quando una cosa ti entra in testa è difficile buttarla via… bastano però alcuni giorni e tutto ritorno com’era prima…
Prendono forma i pensieri che abbiamo in testa, assumono forme di amici e conoscenti, sanno di mare, di azzurro, di cielo nuvoloso… sanno di acqua che cade dall’alto, come capelli d’angelo, sanno di giorni di riposo che volgono al termine, giorni in cui ci si concede alla compagnia di altri compagni di viaggio.
Sembrano giorni randagi, tristi, non sapere dove andare, non sapere chi vedere prima, non sapere come raccontare le cose, se celare dietro un si bene, tutto bene, tutto il malessere che pervade l’animo. Come sentirsi imbottigliati, come restare chiusi dentro una giara che maldestramente abbiamo riparato. Quale frattura è stata allora sanata? Soltanto una frattura superficiale, direi quasi apparente. Direi quasi che non valeva ripararla la giara…
E sono giorni in cui presi dai classici bilanci si cerca di fare il punto della situazione, quello che è stato fatto, quello che c’è ancora da fare… Le domande, arrivano le domande, le persone ti incontrano, ti vedono, ti chiedono… quanto manca alla fine?
Di quale fine si parla? La fine che porta in se invece l’inizio… la risposta… anni… tre anni, si credo tre anni alla “fine”… e poi? Come direbbe il signor Pitti, poi mi danno l’attività, il franchising… fosse così facile! Ma non è questione di anni, non è tempo che passa, è vita che cresce, che matura, che consolida la vocazione alla vita stessa.
Dove vai uomo del mondo?
No, comincio a pensare che non devo più essere uomo del mondo, riprendo mentalmente i passi della “A Diogneto”… devo essere uomo nel mondo! Sarà questa la caratteristica necessaria alla mia definitiva scelta sacerdotale? Come potrò portare la Parola agli uomini, come potrò dare il Pane e il Vino a chi ha fame e sete (e non solo di giustizia) come potrò farlo se non sarò per primo io quello che incarna l’esempio che il Signore ci ha dato?
Allora senti il Fuoco che divampa dentro, il Fuoco che si fa strada tra le gioie e i dolori, tra la tristezza e la felicità, il Fuoco che ti dice, non ti preoccupare sii te stesso, vai avanti, non ti abbattere, non ti scoraggiare, non… pensare che tutto sia perduto, sii forte e spera nel Signore!
Dov’è la novità? Da quale parte stare? Da chi dobbiamo difenderci? Da cosa dobbiamo fuggire? Chi è quell’uomo, chi è quella donna, chi sono questi uomini e queste donne che sono stati posti sul mio cammino?  Chi sono tutti quelli che parlano nel loro assoluto silenzio? E di cosa parleranno mai? Sanno di sapere… ma cosa sanno?
E ora non è più un foglio bianco quello che ho davanti, è un foglio che è pieno di me, di parti di me… Quasi una zucca che si sfracella al suolo dopo un volo di nove piani… non ha più la forma di zucca, ma dal colore e dal sapore sappiamo che è zucca… so che è mio quello che ho scritto, lo sento, mi appartiene così come sento di appartenere ad Altro.
Una vita che non è mia, una vita che devo donare, una vita che devo donare per ricevere cento volte tanto… pazientemente, come piccola formica lavorare. Passo dopo passo.
 
Oggi non si può stare in silenzio,
oggi non so che farò di me…
Prenderò delle vecchie lettere,
quelle che sanno di parole urlate,
le rimetterò dentro un cassetto,
e torneranno nel loro silenzio…
Fai un buon viaggio, a presto.
 
Corron le auto,
corre veloce il tempo…

Come pioggia

Ho visto la pioggia cadere,
come fili argentati,
capelli di un angelo?
 
Ho visto la pioggia,
sospesa nell’alto, illuminata dal sole.
Cadeva leggera…
 
Avrei voluto che la vedessi pure tu.

Sotto gli alberi, seduti su una vecchia panchina e un tavolo, in compagnia del sole, abbiamo ascoltato le nostre parole…

Mi sono accorto che è molto difficile riprendere un discorso lasciato in sospeso molto tempo fa. Non ho scritto nessun intervento fin ad adesso in questo mese di settembre preso come sono dai pensieri degli esami… Difficile quasi come far ripartire un vecchio motore, fermo ormai da anni, magari con degli ingranaggi coperti qua e la di ruggine. Allora si smontano i pezzi si mettono sul banco di lavoro, si cambia quello che si deve cambiare, poi si rimonta il tutto, si incrociano le dita sperando di non aver dimenticato pezzi fuori posto… Poi metti la chiave nel pannello, la giri… e senti la "musica" rombante di un vecchio motore messo a nuovo…
Vale anche nei nostrri rapporti umani, quelli interpersonali, quelli che mettono di fronte un io e un tu.
Si aggiustano prendendo solo coraggio, delle proprie scelte, dei propri errori, mettendo ancora una volta sul banco di lavoro pezzi di se stessi, sinceri.
Gabriel Marcel dirà "io spero in Te per noi"…
Un "io" e un "tu" diventano un noi, un "noi" di fronte a Lui.
Bisogna dire che sperare, così come possiamo presentirlo, è vivere in speranza, al posto di concentrare la nostra attenzione ansiosa sui pochi spiccioli messi in fila davanti a noi, su cui febbrilmente, senza posa, facciamo e rifacciamo il conto, morsi dalla paura di trovarcene frustrati e sguarniti. Più noi ci renderemo tributari dell’avere, più diverremo preda della corrosiva ansietà che ne consegue, tanto più tenderemo a perdere, non dico solamente l’attitudine alla speranza, ma alla stessa fiducia, per quanto indistinta, della sua realtà possibile. Senza dubbio in questo senso è vero che solo degli esseri interamente liberi dalle pastoie del possesso sotto tutte le forme sono in grado di conoscere la divina leggerezza della vita in speranza.
 
«Io spero in te per noi»… In te – per noi: qual è il legame vivente fra questo tu e questo noi che solo il pensiero più insistente riesce a svelare nell’atto della speranza? Non occorre forse rispondere che Tu sei il garante di questa unità che lega me a me stesso, o meglio l’uno all’altro, o ancora gli uni agli altri? Più che un garante che assicurerebbe e confermerebbe dall’esterno un’unità già costituita, Tu sei il cemento stesso che la sostiene. Se è così, disperare di me o disperare di noi, è essenzialmente disperare di Te.
Prendo in prestito due citazione di G. Marcel per dire quello che non ho detto, per scrivere su un blog aperto a tutti quello che non ho mai scritto a te che leggi ora, a te che sai che queste parole sono per te, solo per te… e mi domando però solo se le leggerai!
 
Sperare è allora dare credito alla realtà… te l’ho detto ieri, ricordi?
 
Il Signore Dio Padre Onnipotente ci mette davanti la nostra responsabilità, il nostro essere così umani, umani e partecipi della sua natura divina…
Si Signore, a volte siamo invidiosi perché tu sei buono verso tutti…
E della tua infinità bontà, quando ci tocca da vicino, non ti ringraziamo mai abbastanza.
Solo ora capisco che devo dirti grazie…
 
Grazie Signore!

A passo d’uomo…

Un anno fa…
Si, è trascorso un anno dall’esperienza fatta a Loreto, esperienza che mi ha dato di conoscere altre persone, aggiungere nuovi amici ed amiche alla mia vita… allora unisco quei giorni passati con i nuovi che ho vissuto in Albania con il vice-rettore ed alcuni miei compagni di Seminario, e con quelli del soggiorno assisano, insieme agli amici ed alle amiche della parrocchia di S. Alberto Magno…
Cammino per la strada, un attimo, solo un attimo chiudo gli occhi e comincio a pensare… e una volta a casa scrivo…
 
So come voglio vivere…
Ne nave, ne auto, ne treno, ne aereo… voglio vivere a passo d’uomo.
Per avere il tempo di vedere tutto quanto intorno a me. Per avere il tempo di avere tempo.
Vedere piccoli particolari, vedere dettagli che ti rivelano un mondo grande, osservare, cogliere ogni cosa. Tutto. E immergermi in tutto, appartenendo al tutto. E da quel tutto ridarmi agli altri. 
A passo d’uomo, lentamente, senza correre. Un passo dopo l’altro, piccoli passi o grandi passi, lenti…
Camminare, coprire nella mia vita la distanza che c’è tra la terra e il sole, girare il mondo con la forza delle mie gambe, usare le mie gambe per portare me e quanto ho dentro in giro per il mondo, senza mai farsi prendere in giro dal mondo.
Ecco cosa voglio fare. Non voglio mai smettere di scrivere, con la sana incoscienza che non sempre chi legge te stesso ti possa dare una risposta.
E allora cominciare a ridere per quello che passa per la mia testa, una battuta fatta, uno scherzo fatto o subito, ridere per nulla, ridere per poco o ridere per tanto.
Ridere perché in fondo non c’è nessun problema!
E non pentirsi mai di tutte le volte che abbiamo dato una mano o l’abbiamo stesa in gesto di distensione.
Mai pentito di tutte le volte che nella mia vita ho detto ti voglio bene, mai pentito di tutte quelle volte in cui ho detto ti amo…
Mai pentito per le lacrime che ho versato, pentito solo per quelle che ho fatto versare, per tutte quelle che gli altri, i genitori, gli amici e le amiche hanno versato per colpa mia…
 
A passo d’uomo, camminare. Con un respiro lento vivere, tra il mondo di ieri e quello di oggi.
 
Tra i mille pensieri e le distanze che copriamo anche solo con la nostra testa…
 
Vivere così, semplicemente vivere a passo d’uomo…