Dove sta la normalità?

Questa è la sintesi, piccola riflessione, di una splendida settimana vissuta con Sergio, Giuseppe E. e Dario, presso il “Piccolo Cottolengo” del don Orione di Ercolano…

 
L’esperienza del servizio che accende e infiamma il cuore può risultare onerosa da un punto di vista dell’equilibrio interiore. Magari aiuta a ristabilirlo.
Onerosa esperienza perché costa. Forse meglio ancora gravosa perché pesa sulle nostre spalle, grondante di lacrime interiori. Appena accennate negli occhi.
La domanda di senso diventa se tutto questo che facciamo, la nostra vita che va avanti in modo ripetitivo, abbia davvero un senso. Forse non lo ha. Ma voglio trovarlo un senso a tutto questo.
 
Ha un senso? O bisogna cercarlo da tutt’altra parte? Tra gli occhi e le mani? Tra i sorrisi… nella vita normale di chi è definito da noi anormale, perché è un giovane essere umano intrappolato nel corpo di un adulto… C’è chi ti sorride, chi vuole un bacio, chi vuole solo attenzione, c’è chi è chiuso nel suo mondo, si contorce, sta in silenzio… rimane con se stesso e si fa compagnia.
Nel frattempo qua fuori operai a lavoro risistemano la facciata dell’edificio. Lo fanno bello e accogliente per quelle persone che vi abitano, vi lavorano, per quelli che vengono in visita.
 
Accoglienza. È una parola straordinaria. È la nostra capacità di ritirare parti di noi per far entrare il resto del mondo. Pian pianino, poco alla volta possiamo essere capaci di ritirarci e dare posto nella nostra vita a tutti. Siamo in grado di accogliere anche Dio in noi. È l’evento più straordinario della parola straordinaria che è l’accoglienza. Noi esseri finiti riusciamo ad accogliere in noi l’Infinito.
Qualcuno che non ci conosceva ma che ci aspettava ha accolto lo sconosciuto.
 
Quanti anni hai? Trentatre… hai i miei stessi anni. Ma non è così, ne hai di meno.
Forse ne hai quattordici, forse sette, non di più. Tu invece ne hai tre. E tu ancora quattro.
Hanno anni diversi. “Imprigionati” in corpi adulti, esseri umani bambini, cresciuti e mai diventati grandi. Noi invece?
Età che è solo un numero, cosa è?
Questa la chiamano vita.
Li chiamano corpo di Cristo, lo sono davvero.
Lo siamo anche noi credenti che ci accostiamo al banchetto eucaristico, lo siamo, diciamo di esserlo ogni qual volta rispondiamo “Amen” all’affermazione “Il corpo di Cristo”.
È vita che riserva sorprese che vanno al di là della nostra immaginazione, che travalicano i nostri comuni limiti: l’aiutarsi reciprocamente, il debole che aiuta quello che è ancora più debole, gli da’ da mangiare, lo accompagna su e giù per le scale, prendendolo per la mano, spinge la sua sedia a rotelle lungo i viali… certe scene scaldano il cuore. Avendolo.
A loro basta poco, davvero molto poco, bastano una chitarra, un canto, sorrisi e baci e abbracci. Vita chiesta in dono, un regalo poco accetto da parte di chi non si aspettava questo trattamento di riguardo capace di migliorare quella che pensiamo essere solo qualità di vita. Ci ridona invece l’essenza della nostra umanità.
Sofferenza che si intreccia con gli affanni e la gioia di un quotidiano vivere che sa di pane sudato, pane spezzato sotto forma di uomini e donne che nell’eterno andare dei giorni combatte per un mondo nuovo. Per la propria esistenza.
Comincia proprio da qui, da noi, dal nostro essere, il nostro scoprirsi veramente uomini.
Figli e fratelli. Amanti e amati.
 
Lei mi ricorda continuamente che devo morire… si lo so già… prima o poi moriremo tutti.
Lui invece chiede continuamente che ore sono. Quasi ogni cinque minuti la stessa identica domanda… che ore sono?
Non più una risposta fatta di numeri che si susseguono nel tempo… no, solo laconicamente “è tardi”…
 
Vedere la vita con i propri occhi o attraverso delle lenti.
Per correggere alcuni difetti della nostra visione.
Cambiare semplicemente punto di vista, prospettiva.
E continuare a camminare, a due a due, come discepoli mandati per le strade del mondo…

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