Alessio qualche giorno fa mi diceva che era già abbastanza tempo che non scrivevo sul blog… ho così pensato, a quasi un mese di distanza dall’ultimo intenvento che se si è presi da altri impegni e da altri pensieri non sempre devo scrivere delle note personali: posso far venire in aiuto alla mia "crisi" di parole, le parole scritte da altri…
E che altri!
Riporto un brano che mi ha colpito, un brano che ho voluto condividere con una cara amica che vive lontano da me, per condividere il suo "dolore" e farlo anche un po’ mio. Un testo che in un certo qual modo può servire da fil rouge in una Settimana Santa come questa, piccola meditazione personale che condivido con tutti i miei assidui "lettori" sparsi in tutto il mondo…
Non è una nota contro la Chiesa, non voglio essere polemico prima ancora di poter sposare un giorno la mia Sposa, ma contro l’uomo di oggi troppo "uomo" che non si apre più al divino, che non si lascia illuminare dallo sfolgorante sole di Pasqua… sole che illumina le menti, sole che scalda i cuori. Lasciamoci illuminare, lasciamoci scaldare! E tendere ancora una volta verso quel Mistero d’Amore che si è ipostatizzato, si è fatto concreto, realmente presente, fino a morire per noi!
Abbiamo bisogno di uomini coraggiosi, veri, disposti a morire, disposti al sacrificio, anche cruento, per amore della Verità. Possiamo e dobbaimo prendere esempio da chi ci ha preceduto e ha tradotto per noi parole e pensieri troppo distanti da comprendere. Abbiamo bisogno di uomini umani, così umani che hanno e che sanno di avere l’impronta creatrice del Divino Creatore.
Buona lettura… e buon cammino verso la Risurrezione!
Tratto da "La mia vita per gli amici – resistenza e vocazione", di David Maria Turoldo
Espongo subito anche altre considerazioni che mi hanno sempre infastidito. La prima è la difficoltà di essere presi nel giusto verso dagli stessi uomini di Chiesa, solo perché tu operi su questi versanti. Ecco allora che sei immediatamente etichettato come un «prete di sinistra» («prete rosso» e comunista, per la gente; prete pericoloso per la gerarchia). E poiché questo fu a tutti noto, ecco che, per via soprattutto di quel viscerale e forsennato anticomunismo che sappiamo, io da sempre fui costretto a pagare fino all’ultimo centesimo, fino alla vergogna e al ludibrio pubblico. Ed era invece il mio, un credito (non un debito, in questo caso) sia da parte della società che della Chiesa. Di me si cominciò a dire di tutto e in tutti i toni, e da molte parti; specialmente da una certa inferocita stampa reazionaria, che aveva ben presto incominciato ad appestare tutto il paese. Me ne dissero e me ne fecero dire di tutte le risme, facendo passare per mie, cose che non avevo mai neppure sognato. Spesso giunsero a invocare l’intervento dei superiori al fine di essere proscritto dalla Chiesa; fino a dire che avevo «spezzato rosari» davanti alle porte delle chiese; fino a scrivere un libro dal titolo Berlinguer e il confessore (e il confessore sarei stato io); fino, più tardi, a generare sospetti che fossi addirittura un cappellano delle Brigate Rosse, e via impazzando.
Invece posso affermare candidamente che soprattutto tre aggettivi non ho mai potuto sopportare: l’aggettivo di «prete di sinistra», appunto; l’aggettivo di «prete moderno»; e più quello di «prete scomodo»: i tre aggettivi che mi hanno sempre perseguitato come, si fa per dire, i tre chiodi della mia crocifissione (per fortuna non riuscita!). Una aggettivazione contro la quale non c’era nulla da fare, se non di lasciare che le cose si decantassero da sole: convinto della «pazienza della verità», oltre che della verità della pazienza.
A me interessava non una scelta di partito e neanche di schieramento, ma una scelta ben più coinvolgente: la scelta di stare dalla parte dell’«uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico», capitato in una società di ladri, caricato di ferite, spogliato e lasciato mezzo morto ai margini della strada. E’ la scelta in cui mi trovo anche oggi: scelta radicale e assoluta: là dove c’è quest’uomo che nessuno sa chi sia: che può essere un cattolico o no, un bianco o un nero, un comunista, un repubblichino, un americano, un moscovita; e perfino un disonesto. Sappiamo tutti che da quella parte c’è il buon samaritano, anche se non c’è il prete e non c’è il levita… Questo non è essere di sinistra!
Così riguardo all’etichetta di moderno. Io non sono un moderno, io sono un antico; sono perfino tradizionalista; quasi un tradizionalista sentimentale. Meglio: sono un amante, un appassionato della tradizione e delle tradizioni. Come era precisamente papa Giovanni; come mi hanno insegnato a essere gli uomini del migliore cattolicesimo: come Rosmini, ad esempio, l’uomo de Le cinque piaghe della Chiesa eppure fedele; così come era fedele padre Bevilacqua; ed è stato fedele Mazzolari; e prima ancora il Newman e tanti: tutta gente che ha pagato per essere appunto tradizionale. Perché più si è tradizionali più si sente l’urgenza della novità, e se non anche della rivoluzione. Quanto poi all’aggettivo di prete scomodo, aggettivo che di solito si usa quando non si sa cosa dire, meglio lasciar stare. Nulla di più comodo che il suo uso. D’accordo: le mie scelte furono tutte allo scoperto. Il mio impatto si è avverato prestissimo, facendosi poi via via sempre più crudo. L’ispirarci agli eterni principi non ci impedì di schierarci nel quotidiano più concreto e compromettente, sia religioso che civile appunto. Anche se – d’accordo! – mai pensammo di confonderci con nessun partito. Sappiamo benissimo, da sempre, che per un credente una visione autenticamente cristiana della vita (la Weltanschauung dei tedeschi) non può mai esaurirsi nel puro orizzonte del sociale: sappiamo che sono semplici «verità penultime»; e prima di noi lo sa la Chiesa; è da essa che lo abbiamo appreso. Anche se poi la sua gerarchia – o una certa gerarchia – a volte arriva nella sua prassi a capovolgere la situazione. Allora sarà la gerarchia – una certa sua gerarchia – a fare di molte verità penultime le ragioni ultime del suo operare: è quando la fede viene condizionata alla politica; quando non già la fede, ma la cosiddetta «ideologia cristiana» (che spesso risulta un vero camuffamento) viene a sovrapporsi alla fede, e in virtù della fede (che non c’entra) si rischia il baratto. Ciò avviene quando fede e profezia e politica entrano in conflittualità, formandosi il groviglio: nella soluzione del quale solitamente sarà la profezia a fare le spese più pesanti rispetto al presente, ma sarà la politica che più pagherà nel futuro, prossimo o remoto che sia; in attesa che la fede torni a sovrapporsi alla pura politica.
Anche la Chiesa – e cioè anche quella certa parte di Chiesa – deve fare i conti con la complessità della storia; né può barare impunemente al gioco, confidando troppo nel potere, immenso e terribile, che detiene nelle sue mani; un potere che non è di nessun’altra istituzione sulla terra: quello di invadere l’intimo delle coscienze.
Pure la Chiesa – e cioè, quella porzione di Chiesa che è preposta al suo regime – non può non pensare quanto sia vero anche per lei che la fede non è mai staccabile dalla profezia; e che la profezia non è l’annuncio del futuro, ma è la denuncia del presente, nel confronto con la Parola: cosicché è la Parola il futuro del mondo e della storia. In altri termini sarà la stessa fede a interpellarci continuamente sulla realtà, e a guidarci quotidianamente a «tutta intera la verità»; salvandoci, da una parte, dall’astrattezza, e dai falsi spiritualismi e intimismi e alienazioni e altro, e dall’altra, da strumentalizzazioni e camuffamenti di valori che poi si risolvono
in pesanti baratti, a volte spendendo addirittura il cielo per la terra.
E’ quanto a volte si è nascosto, e si nasconde, sotto l’ambiguità di linguaggi tipicamente ecclesiastici circa la denuncia del «pericolo ideologico», della «contaminazione ideologica»: contaminazione «liberale» fino all’altro ieri; ieri e oggi contaminazione marxistica. Condanne pronunciate sempre in nome della fede; e invece quanto le ispirava spesso non era immune da pertinenze ideologiche. Cosicché le testimonianze denunciate ben presto si rivelavano più ispirate dalla fede di quanto non fossero le sentenze delle loro condanne.
Queste note possono aiutarci a comprendere come nella Chiesa sia estremamente pericoloso disgiungere, e peggio ancora separare (anche se è sempre necessarissimo distinguere) il soggettivo dall’oggettivo; e quanto sia necessario convincerci che mai il soggettivo può esaurire l’oggettivo; e come, a questi livelli, sia da ritenersi soggettivo anche il magistero: un magistero certamente inevitabile, ma mai assoluto, e neppure esso pienamente definitivo. L’Oggettivo trascenderà tutti e tutto: il mistero cioè sarà sempre più grande di noi, anche se presi tutti insieme. Donde la necessità di ascoltare tutti; convinti che anche tutti insieme non riusciremo mai a possedere la verità, meno ancora ad esaurirla; e sarà dono grande che sia la verità a prendere possesso di noi.
E’ la ragione per cui, a livello politico, la Chiesa non potrà mai ridursi a democrazia, e nemmeno potrà configurarsi in una monarchia, meno ancora – ovviamente – a una dittatura: sarebbe la più infausta e perversa delle dittature del mondo in quanto dittatura dello spirito, dittatura delle coscienze. E’ scritto che dove è lo Spirito ivi è la libertà. Non per nulla Paolo scrive nel primo testo che apre il Nuovo Testamento, di «non spegnere lo Spirito, di non disprezzare le profezie, di esperimentare tutto, e di trattenere solo il bene, e che Dio ci salvi tutti interi, in anima e corpo» (1 Tessalonicesi 5, 19-23).
Da dove – sempre in fatto di regimi politici -, si può convenire che certo sarà grandemente utile perseguire la forma democratica piuttosto che altre forme; conservando però la convinzione che perfino uno solo, a volte, nella Chiesa, – dico uno! – può avere ragione e gli altri torto: e questi non è detto che debba essere sempre il Papa. E’ il caso di san Paolo con san Pietro, ad esempio: è il caso di san Francesco e di santa Caterina da Siena; il caso, perché no, di Lutero, almeno in parte, e di Galileo… Per dire come la Chiesa, fra tutte le istituzioni del mondo potrebbe – e dovrebbe! – essere il vero paese della libertà, il più garantito paese dell’uomo: precisamente perché istituzione fondata e guidata dallo Spirito, che spira come il vento, «e voi non sapete né donde venga né dove vada, ma ne sentite solo la voce»: la voce del testimone che sarà perciò sempre libero e imprevedibile.
Sono principi che dobbiamo tenere presenti: sia per chi sceglie, sia per chi giudica e governa, al fine di affrontare la complessità della storia con la più chiara coscienza possibile. E dentro questa luminosità si può accettare serenamente di essere anche chiamati a confronto: al fine di rendere conto della nostra speranza cui siamo chiamati. E’ quanto mi è capitato nel prosieguo degli anni e degli avvenimenti. Ritorniamo ai giorni del rischio e alla nuova resistenza.
I primi impatti
Tutto è cominciato con il mio incontro nel ’44 con monsignor Adriano Bernareggi, vescovo di Bergamo, allora responsabile delle «Settimane sociali della Chiesa», incaricato da Roma di disciplinare le scelte politiche dei cattolici che operavano nella Resistenza.
Bisogna ricordare che il nostro gruppo di giovani si era fatto sempre più numeroso, e che inevitabilmente i contatti e i coinvolgimenti con le forze partigiane si allargavano sempre più, e diventavano sempre più incidenti. Avevamo incontri con i rappresentanti di tutto il CLN Alta Italia, incontri che si tenevano periodicamente nel refettorio di San Carlo, di fronte – finestra a finestra – alla parte del convento occupata da un comando tedesco; pur passando sempre dalla comune porta che, naturalmente, era piantonata dalle guardie. Avevamo contatti con i partigiani di Teresio Olivelli, quello della famosa Preghiera del ribelle per amore. C’era l’avvocato Marazza, Romano De Gasperi (fratello di Alcide), l’architetto Zanchetta, De Martino, Carli-Bellola (socialista), eccetera. Curavamo soprattutto la stampa clandestina; ci era affidata l’assistenza ai prigionieri politici, e altro.Volgendo la guerra alla fine, dovevamo decidere se entrare o meno nella Democrazia cristiana. Coi nostri giovani tenemmo molte riunioni; prima di votare si decise di prendere contatto con il vescovo Bernareggi per un sondaggio d’opinione. Così dovetti prendere contatti col presule: il risultato è già di appartenenza pubblica. Di questo parlai anche nel mio libro Nell’anno del Signore (Ed. Palazzi).
Io ero talmente convinto di queste mie scelte che per causa di esse mi trovai poi in contrasto perfino con l’amico che più stimavo e che già da tempo consideravo il più alto modello per il mio sacerdozio, allora ancora agli inizi, don Primo Mazzolari. Sì, fu la sola cosa che ci divise: lui convinto che il partito poteva essere ancora utilizzato come strumento per gli ideali in cui credevamo insieme, e io no: per istinto, e con tutta forza. Lui erede di un Partito Popolare, naturalmente ricco dell’esperienza che aveva alle spalle, e io – insieme ad altri del gruppo -, sempre più diffidente e deciso.
Io non volevo assolutamente un unico partito cattolico; non volevo che il partito si confondesse con la Chiesa; non volevo il monopolio politico delle coscienze. Cosa che non voleva neppure don Mazzolari, ma tuttavia credeva nel partito, e io a oppormi perfino al nome, eccetera. E’ stata la ragione per cui io non ho mai scritto su «Adesso», il giornale che don Primo venne a proporci avanti ancora di iniziare la pubblicazione, dissentendo con tutto il gruppo, a San Carlo.
Naturalmente ci siamo divisi nel modo più pacifico e ovvio. Divisi e mai separati! Anzi, fu don Primo a dirmi alla fine di una riunione in cui si discuteva, per l’esattezza, sui rapporti con le autorità ecclesiastiche, del Sant’Uffizio, (una volta tanto non si parlava di nazisti o di ebrei): «Va bene, David: procediamo in ordine sparso, perché se hanno da sparare a me vai avanti tu; se sparano a te, andrò avanti io». Un’altra volta mi disse, sempre riferendosi alle autorità ecclesiastiche: «Caro David, la tattica migliore di fronte alla bufera che si abbassa è di abbassarti anche tu e, una volta passata, rialzare la testa, e andare avanti. E’ quanto io faccio coi temporali che mi arrivano, col ventre a terra, sulla mia Pianura Padana».
«se hanno da sparare a me vai avanti tu; se sparano a te, andrò avanti io»