A volte basta cambiare solo la stanza…

Non è la prima volta che non so cosa scrivere, ma questa volta non è per mancanza di idee, o per mancanza di buona volontà… alla fine però la musa saprà come ispirarmi, lascerà scrivere ancora parti di me… pezzi importanti di me. Io non ho paura di dire quello che ho dentro.
Al contrario di altri, “irresponsabilmente” io non ho paura…
Ma devo cambiare stanza: quella di casa mia non mi piace, non mi ispira, in seminario c’è un altro clima. Forse sono più abituato a stare davanti al portatile che è ormai fisso in seminario che non guardare il monitor del pc di casa. Ma sono solo considerazioni che non portano a nulla, non aggiungono molto di me: parlare di me vuol dire confessare ad esempio le mie paure.
Ho paura di vedere gli altri partire. Ho paura che una volta andate via dalla nostra vita, le persone, gli amici (quelli che riteniamo tali), al loro rientro non siano più quelli di un tempo.
Ed è inevitabile pensare che le persone cambino: davanti a questa realtà propria dell’essere umano, possiamo solo attestare con il tempo le persone cambiano. Chi siamo oggi? Di sicuro non siamo più quelli che siamo oggi, ne tantomeno domani potremo identificarci con il nostro io consegnato al tempo che fugge.
Ho paura allora a dire addio… anche se però non dovrei aver paura di dire a Dio… ti affido a Lui, che pensi Lui a te… io non ci sarò, ci penserà Lui a te…
Viene in mente una preghiera, un’antica benedizione irlandese:
 
Che la via si apra davanti a te:
che il vento soffi sempre alle tue spalle,
che il sole inondi e riscaldi il tuo volto,
che la pioggia annaffi i tuoi campi,
e che, fino al nostro prossimo incontro,
Dio ti custodisca fra le sue mani.
 
Non ricordo se già ho parlato di questa benedizione, scrivo tante parole, ogni tanto qualcuna tende a sfuggire alla mia memoria… o forse è la stanchezza, forse è lo stress, o forse è soltanto la mia vita che va, che continua nonostante tutto.
Se parte un amico è un conto, se torna e poi riparte… si già di questo devo averne parlato, anzi scritto… Essere accoglienti allora diventa una prerogativa della nostra vita, aperti all’incontro, aperti allo scambio reciproco, aperti al dono d’amore che è Amore.
Vanno via anche gli animali, muoiono i cani, muore il pastore tedesco di mio fratello, muore Ahiku… così, improvvisa ci lascia. E lascia in me i ricordi di un piccolo cane che entra nella nostra famiglia, un cane che cresce, che si ammala, che partorisce dei cuccioli… lascia in noi un ricordo, un dolce ricordo, lascia il segno nei cuori…
Allora oggi diventa una giornata da ricordare, diventa un giorno speciale dove per forza si deve dire qualcosa, tutto quello che è stato taciuto nei giorni passati comincia a prendere oggi una forma, una vita che sa di mondo animale, che sa di vita, un procedere nel mio mondo per dire ancora una volta al Mondo chi sono…
Potrò dire che mi mancherà il fatto che mi facesse festa quando andavo a trovare mio fratello, che mi mancherà sentirla seduta accanto, il padrone o il fratello del padrone che danno sicurezza.
Potrò dire che mi piaceva giocare a rincorrerla, a mettere la mia mano nella sua bocca, tanto non stringeva forte, potrò dire che è stato bello vederla crescere… potrò semplicemente dire che mi mancherà, anche perché non ci aspettavamo morisse per un’altra infezione…
Sicuramente non potrò dire che ho seppellito quel cane, massa di morbido pelo, in modo egregio. Di certo aver visto anni fa le puntate della prima serie di Six Feet Under non mi è servito per imparare a sotterrare esseri umani o cani…
 
Non posso dire che ascoltare la stessa canzone possa essermi d’aiuto, ma quando una cosa ti entra in testa è difficile buttarla via… bastano però alcuni giorni e tutto ritorno com’era prima…
Prendono forma i pensieri che abbiamo in testa, assumono forme di amici e conoscenti, sanno di mare, di azzurro, di cielo nuvoloso… sanno di acqua che cade dall’alto, come capelli d’angelo, sanno di giorni di riposo che volgono al termine, giorni in cui ci si concede alla compagnia di altri compagni di viaggio.
Sembrano giorni randagi, tristi, non sapere dove andare, non sapere chi vedere prima, non sapere come raccontare le cose, se celare dietro un si bene, tutto bene, tutto il malessere che pervade l’animo. Come sentirsi imbottigliati, come restare chiusi dentro una giara che maldestramente abbiamo riparato. Quale frattura è stata allora sanata? Soltanto una frattura superficiale, direi quasi apparente. Direi quasi che non valeva ripararla la giara…
E sono giorni in cui presi dai classici bilanci si cerca di fare il punto della situazione, quello che è stato fatto, quello che c’è ancora da fare… Le domande, arrivano le domande, le persone ti incontrano, ti vedono, ti chiedono… quanto manca alla fine?
Di quale fine si parla? La fine che porta in se invece l’inizio… la risposta… anni… tre anni, si credo tre anni alla “fine”… e poi? Come direbbe il signor Pitti, poi mi danno l’attività, il franchising… fosse così facile! Ma non è questione di anni, non è tempo che passa, è vita che cresce, che matura, che consolida la vocazione alla vita stessa.
Dove vai uomo del mondo?
No, comincio a pensare che non devo più essere uomo del mondo, riprendo mentalmente i passi della “A Diogneto”… devo essere uomo nel mondo! Sarà questa la caratteristica necessaria alla mia definitiva scelta sacerdotale? Come potrò portare la Parola agli uomini, come potrò dare il Pane e il Vino a chi ha fame e sete (e non solo di giustizia) come potrò farlo se non sarò per primo io quello che incarna l’esempio che il Signore ci ha dato?
Allora senti il Fuoco che divampa dentro, il Fuoco che si fa strada tra le gioie e i dolori, tra la tristezza e la felicità, il Fuoco che ti dice, non ti preoccupare sii te stesso, vai avanti, non ti abbattere, non ti scoraggiare, non… pensare che tutto sia perduto, sii forte e spera nel Signore!
Dov’è la novità? Da quale parte stare? Da chi dobbiamo difenderci? Da cosa dobbiamo fuggire? Chi è quell’uomo, chi è quella donna, chi sono questi uomini e queste donne che sono stati posti sul mio cammino?  Chi sono tutti quelli che parlano nel loro assoluto silenzio? E di cosa parleranno mai? Sanno di sapere… ma cosa sanno?
E ora non è più un foglio bianco quello che ho davanti, è un foglio che è pieno di me, di parti di me… Quasi una zucca che si sfracella al suolo dopo un volo di nove piani… non ha più la forma di zucca, ma dal colore e dal sapore sappiamo che è zucca… so che è mio quello che ho scritto, lo sento, mi appartiene così come sento di appartenere ad Altro.
Una vita che non è mia, una vita che devo donare, una vita che devo donare per ricevere cento volte tanto… pazientemente, come piccola formica lavorare. Passo dopo passo.
 
Oggi non si può stare in silenzio,
oggi non so che farò di me…
Prenderò delle vecchie lettere,
quelle che sanno di parole urlate,
le rimetterò dentro un cassetto,
e torneranno nel loro silenzio…
Fai un buon viaggio, a presto.
 
Corron le auto,
corre veloce il tempo…

2 risposte a “A volte basta cambiare solo la stanza…”

  1. Ho "rubato" la benedizione irlandese… Mi spiego: dovevo scrive un biglietto di auguri per due ragazzi che stanno per sposarsi. Non sono particolarmente amici, quindi vengono alla mente frasi banali del tipo: "un mondo di felicità, che la vostra vita di coppia possa sempre farvi gioire etc etc!" Ma poi ho ricordato che avevi scritto questa bella cosa… basta fare trasformare la seconda persona singolare nella seconda persona plurale, e il biglietto è pronto! Grazie, ancora una volta mi vieni in soccorso…. Commento al post? Non è necessario!!!!!

  2. Non riesco ad aggiungere nulla, a dire nulla…io, che di solito di parole ne ho sempre a bizzeffe… Sarà la stanchezza, l’ora, o forse -soprattutto- sarà che hai messo le parole le une accanto alle altre in una maniera così speciale da togliere il fiato…Le leggerei altre mille e mille volte…hai detto cose vere e semplici che tante volte però si fa fatica a verbalizzare…Tornerò! …Grazie

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