In fondo, per voler bene a qualcuno, devi esserne innamorato. Profondamente. Radicalmente.
Lo stesso innamoramento di due persone che si dicono si? Per sempre? Questo è quello che caratterizza l’essere amici, il non aver paura dell’eternità, il non aver paura di un per sempre che si concretizzi giorno dopo giorno, anno dopo anno, istante dopo istante. Per sempre che è sempre.
Ma è davvero la stessa cosa? O sono due modi amare differenti? Forse alla base hanno qualcosa in comune, lo stesso denominatore comune…
Qualcuno potrebbe avanzare una richiesta… “Si dovrebbero prevedere delle forme di istituzionalizzazione dell’amicizia, dei riti, delle cerimonie, che ne so anche la presenza di un notaio andrebbe bene”. Ma contenere l’essere amico di Tizio o di Caio o di Sempronio, all’interno di rigide formule “legalistiche” vorrebbe dire perdere il sapore autentico della libertà, una componente essenziale non di un rapporto filiale ma dell’intera vita dell’uomo. Ed è importante dire che libertà non è affatto riconducibile al motto di alcuni satanisti con il loro “fa ciò che vuoi” ma ad un invito che Agostino rivolge commentando la prima lettera di Giovanni, i versetti dal 4 al 12 del capitolo 4: «Ama e fa’ ciò che vuoi (Dilige et quod vis fac)»: non un’esaltazione del sentimento e del capriccio, bensì un’esortazione alla responsabilità per il bene del prossimo. Dobbiamo perciò porre sempre alla base delle nostre azioni l’amore per il prossimo. Amore e bene per il prossimo.
C’è sempre qualcuno che può ascoltarti e con cui puoi confrontarti…
L’amicizia diventa così un pallido ricordo di una stanza della solitudine, anzi illumina di altra luce quella stanza dentro la quale ci siamo chiusi a volte, preda dei venti di rabbia e disperazione. È un porto sicuro dove trovano approdo tutte le navi che solcano i mari in tempesta. Una volta approdati, scesi dal nostro mal ridotto vascello, incontriamo chi ci da una mano, per rimetterci in sesto, per riparare le vele, per riempire di preziose scorte le stive e dopo alcune notti di meritato riposo, ripartire, prendendo il largo.
Prendere il largo… aprire ancora una volta le vele e lasciare che il vento soffi, le gonfi e sospinga la nave ed i suoi occupanti verso altre mete, altri lidi, altri porti dove attraccare…
Una volta sbarcati avevamo avuto la possibilità di parlare con tante persone, dal locandiere all’ingegnere, dal semplice operaio che tappava le falle a quello che aveva reso di nuovo forte ed impermeabile la vela… ma non è detto che in quel posto potessimo trovare degli amici: forse qualche altro capitano con cui confrontarsi per tracciare la nuova rotta, qualche vecchio compagno di sbronza, ma non credevo si ricordasse di me e degli altri, d’altra parte lo avevo visto sempre dentro la locanda, brillo, molto brillo, per quanto alcool avesse dentro, sono sicuro avrebbe preso fuoco al suo primo sospiro davanti ad una candela…
Un giorno sarò talmente bravo che risponderò alle domande con altre domande: per ora mi limito ad abbozzare risposte a quelle stesse domande che sono un po’ mie, un po’ vostre… come le risposte, fondamentalmente nostre.