La nostra umanità è pesante. È fatta di carne. È terrena. È tremendamente pesante. Fintanto siamo noi a “costruirci” un abito pesante, la cosa potrebbe anche stare bene. Molte volte, ahimè, sono gli altri a regalarci i loro accessori: un cappello, dei guanti, una sciarpa, fino a completare la nostra veste. Forse fino a diventare dei pupazzi goffi, ripieni di vestiti dismessi, laceri per il troppo uso nella nostra vita.
Altro? C’è sempre dell’altro. C’è Altro e altro. Uno è il termine, l’obiettivo della nostra vita, il termine fisso, il valore asintotico della nostra esperienza che trascende nella vita del mondo che verrà: Uno, Bene, Vero.
L’altro, coi piedi per terra è il nostro compagno di viaggio, ne abbiamo sempre uno dietro, molte volte accanto, poche volte davanti. Ma è quando lo abbiamo accanto che non riusciamo a vederlo, si muove non dei passi cadenzati con i nostri, uno dopo l’altro, arranca con noi in salita, scatta in discesa, si riposa lungo terra piana. Ma non lo vediamo. Ma è li. A volte li scegliamo noi, altre capitano per caso: ma anche quando li scegliamo noi è come se non li avessimo scelti noi, ce li troviamo accanto e pensiamo sia bello averli scelti da noi, ma non è così. Scegliamo qualcuno che poi in realtà non è chi pensiamo aprioristicamente possa essere. Perché alla fine non lo pensiamo come “altro” ma, semplicemente come un io, un altro io.
Allora… svuotiamo le nostre sacche, il tascapane che ci portiamo dietro, senza marca, un semplice tascapane di tela: frugando, frugando troviamo solo delle briciole, piccole briciole insignificanti. Piccole briciole come i cinque pani che aveva nella borsa il ragazzo generoso che li offre insieme ai due pesci. Diventa così testimone coraggiosa di una generosità che dovrebbe essere propria di ognuno di noi. Offre tutto quello che ha. Offre. Non chiede null’altro in cambio. Offre generosamente. Cosa riceve in cambio? Una generosità generosa, dodici ceste piene di “avanzi”, da dare ancora a chi avrà fame.
E se cercassimo anche noi nel nostro tascapane? Cosa verrebbe fuori? Cosa si potrebbe tirare fuori? Se non abbiamo briciole, almeno che esca fuori la nostra preghiera, semplice, pura: basterebbe a muovere una montagna. Senza grandi parole ma solo vestita umiltà e verità, due ottimi fertilizzanti per la nostra fede. E allora magari cementiamo rapporti, tessiamo tele per il nostro tascapane, facciamo tante e tante altre bellissime iniziative ed alla fine che facciamo? Non ci accorgiamo delle piccole briciole cha abbiamo, cerchiamo dei pani più grandi per sfamarci, non pensando che piccole briciole sfamano grandi folle di persone. Non accorgersi del bene che ci fanno le persone, il bene che è in ognuno di noi, vedendo solo quelle volte in cui l’amore che noi diamo non è corrisposto da loro, e su questo puntare il dito. Possiamo davvero vivere di poco, un effetto dirompente di grazia nella nostra vita solo se crediamo realmente. Un po’ come credere che in un pezzo di pane troviamo realmente, il Corpo di Gesù Cristo. Crediamo davvero che sia Lui? O pensiamo che è un pezzo di ostia che poi si chiama Gesù? Cosa anima la nostra partecipazione alle liturgie? La routine?
Ed il Padre nostro che recitiamo… quanto lo sentiamo “nostro”? Non basteranno incontri, raduni o serate allegre tra amici per farci conoscere realmente chi siamo noi davanti al Signore: rischiamo solo di cavalcare delle onde emozionali, fatte di sensazioni, immagini, suoni, parole e non bisogna essere dei fisici per dire che un’onda si frange sugli scogli dissipando la sua energia. Cosa rimane dopo, solo l’erosione delle coste? Stranamente l’onda che dobbiamo cavalcare ha ben poco a vedere con la forma di un’onda… è rettilinea, cresce sempre, fino ad arrivare all’Infinito.
Poi ti accorgi che sono quasi le 20. Avere fame. Avere sete. Preparare da mangiare.
Anche se il regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda…